Se la Terra dei Cedri è ridotta in miseria
L’allargamento del conflitto sarebbe il colpo finale per 5,5 milioni di libanesi e rifugiati. L’80% della popolazione vive in povertà, tra inflazione alle stelle e sanità al collasso
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L’allargamento del conflitto sarebbe il colpo finale per 5,5 milioni di libanesi e rifugiati. L’80% della popolazione vive in povertà, tra inflazione alle stelle e sanità al collasso
• – Redazione
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Il capo del DATEC è una volpe nel pollaio che ha trasformato la politica del suo dipartimento secondo i dettami dell'UDC
• – Beat Allenbach
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• – Redazione
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• – Franco Cavani
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• – Redazione
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• – Redazione
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• – Roberta Bernasconi
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• – Redazione
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• – Redazione
L’allargamento del conflitto sarebbe il colpo finale per 5,5 milioni di libanesi e rifugiati. L’80% della popolazione vive in povertà, tra inflazione alle stelle e sanità al collasso
L’attacco annunciato e atteso alla fine è arrivato ieri pomeriggio. Israele ha colpito Da’aheh, il quartiere a Sud di Beirut. L’obiettivo era Fuad Shoukr, un alto funzionario di Hezbollah, stretto consigliere di Hassan Nasrallah. Secondo due fonti libanesi contattate da Reuters in serata, Shoukr non sarebbe rimasto vittima dell’attentato. Nelle ore precedenti all’attacco il consolato americano e quello tedesco avevano invitato i loro concittadini a lasciare il Paese in fretta e a tenersi pronti a «rifugiarsi sul posto per lunghi periodi di tempo».
Anche alcune compagnie aeree avevano cominciato a cancellare i voli sull’aeroporto Rafik Hariri di Beirut, i primi Lufthansa, Eagean e Royal Jordanian.
Per capire quali potrebbero essere le conseguenze regionali di un allargamento del conflitto è necessario capire quale sia l’attuale realtà libanese, Paese da anni al collasso economico, politico e sociale.
Dallo scoppio della crisi economico-finanziaria nel 2019, aggravata l’estate successiva dall’impatto dell’esplosione al porto di Beirut, i libanesi e i rifugiati che vivono nel Paese (due milioni) stanno fronteggiando livelli di povertà e insicurezza alimentare senza precedenti.
Circa l’80% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e il 36% al di sotto della “soglia di povertà estrema”, cioè sopravvive con meno di due dollari al giorno. Di fronte a numeri di questo tipo il prestito da tre miliardi di euro del Fondo monetario internazionale è più che urgente, ma i negoziati vanno avanti da anni senza risultato.
Le istituzioni finanziarie internazionali come la Banca mondiale hanno spinto i leader libanesi a introdurre riforme strutturali per aumentare «trasparenza, inclusione e accountabilty» come condizioni per l’erogazione di pacchetti di aiuti. Il Fmi (Fondo monetario internazionale), in particolare, chiede riforme strutturali al sistema bancario (che ha determinato la crisi del 2019) e l’instaurazione di politiche trasparenti anti-corruzione.
Però la natura confessionale della divisione del potere in Libano e il malaffare dilagante rendono inattuabili le riforme, le élite politiche sono recalcitranti ad attuare riforme, preoccupate che la trasparenza mini la protezione dei monopoli che resistono da decenni e hanno paralizzato il paese.
Non solo economicamente. Il Libano dal 2022 ha un governo dimissionario ed è senza un capo di Stato. Sono infatti passati due anni dalle elezioni parlamentari che avrebbero dovuto formare un nuovo esecutivo, ma la paralisi politica impedisce ancora l’elezione del successore di Aoun.
Un recente rapporto della Banca Mondiale sottolinea come la crisi abbia generato numeri senza precedenti: in dieci anni la fascia di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà è passata dal 12 al 44%.
Oltre il 10% degli 1,2 milioni di bambini libanesi in età scolare non va a scuola a causa delle vulnerabilità economiche delle famiglie. La svalutazione della lira libanese, che in meno di cinque anni ha perso il 90% del suo valore e la conseguente inflazione, hanno ridotto drasticamente il potere d’acquisto, anche la convivenza tra libanesi e siriani ha raggiunto un punto di non ritorno.
Il Libano è uno dei paesi con il più alto numero di rifugiati pro capite al mondo. Sono quasi due milioni i rifugiati siriani e 500 mila quelli palestinesi. Circa il 20% delle famiglie di rifugiati siriani vive in insediamenti informali e rifugi collettivi, in condizioni deplorevoli.
A luglio 2022, il ministro libanese per gli sfollati aveva annunciato un piano per costringere 15. 000 rifugiati a tornare in Siria. La retorica anti-rifugiati è diventata comune e, nei 12 anni di guerra in Siria, le autorità nazionali e locali hanno reso più difficile per i rifugiati muoversi liberamente e lavorare legalmente.
Il Libano non ha mai consentito campi ufficiali per i rifugiati siriani, così come l’accesso all’istruzione per i bambini. Il 54% dei 715. 000 bambini rifugiati siriani non frequentano la scuola, con solo 47. 000 di loro che accedono a qualche forma di istruzione non formale, cioè scuole gestite dalle organizzazioni umanitarie che però non garantiscono loro nessuna formazione riconosciuta.
Lo scorso anno, Human rights watch aveva denunciato l’ondata di deportazioni che ha colpito i siriani in tutto il paese (migliaia di persone, compresi i minori), come la “più grave” dall’inizio della guerra in Siria nel 2011.
Il primo ministro ad interim Najib Mikati ha affermato che i rifugiati siriani «stanno creando gravi squilibri che potrebbero influenzare l’equilibrio demografico del Libano» , alimentando una retorica anti-siriana che incolpa i rifugiati del crollo economico e della crisi del paese intensificata ancor di più negli ultimi due mesi, in cui il paese si trova ad affrontare l’emergenza di 60 mila sfollati interni dalle zone del Sud coinvolte negli scontri tra Hezbollah e esercito israeliano. I comuni e le municipalità hanno annunciato coprifuoco discriminatori contro i rifugiati siriani e hanno chiuso decine di piccole attività commerciali in tutto il Libano che impiegavano o erano gestite da siriani.
La Sicurezza generale libanese (Gso) ha messo in guardia i cittadini libanesi dal dare lavoro, rifugio o alloggio a rifugiati siriani senza documentazione di residenza in Libano, aggiungendo che le attività e i negozi di proprietà, comproprietà o gestione di rifugiati siriani saranno chiusi se non rispetteranno le vecchie e nuove normative della Sicurezza libanese.
La risposta europea a questa emergenza è stata, il 2 maggio scorso, l’annuncio di un pacchetto di aiuti da un miliardo di euro. Fondi necessari, secondo la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, per rafforzare i servizi di sicurezza libanesi in modo da frenare la migrazione irregolare attraverso il Mediterraneo dal Libano all’Europa.
Pochi giorni dopo l’annuncio dello stanziamento, la sicurezza generale libanese ha annunciato nuove misure contro i siriani: restrizioni alla loro capacità di ottenere permessi di soggiorno e di lavoro, ha intensificato incursioni, sfratti collettivi nei campi, aumentato gli arresti e le deportazioni. A oggi il Libano è un Paese sgretolato che aspetta una guerra che però già c’è da tanto tempo e che ha due fronti, uno interno e uno esterno, entrambi sul punto di non ritorno.
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