Sperimentazione e mondo della scuola
Dopo la bocciatura in Gran Consiglio, continua il dibattito sulla questione dei livelli. Naufraghi/e ha ricevuto e pubblica un articolo del coordinatore dell’MPS Giuseppe Sergi
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Dopo la bocciatura in Gran Consiglio, continua il dibattito sulla questione dei livelli. Naufraghi/e ha ricevuto e pubblica un articolo del coordinatore dell’MPS Giuseppe Sergi
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In realtà sembra che quanto alcuni hanno affermato in quel dibattito non interessi nessuno. Eppure, proprio da alcune affermazioni del direttore del DECS è possibile capire le dinamiche in atto, nella scuola, attorno ai contenuti della “sperimentazione”. Bertoli ha affermato, davanti a tutto il Parlamento, due cose assai importanti.
La prima: che non avrebbe avuto bisogno di passare attraverso un voto in Gran Consiglio per organizzare la sperimentazione, aggiungendo che avrebbe potuto trovare le risorse per la sperimentazione tra le pieghe del normale funzionamento del DECS.
La seconda: qualora l’emendamento fosse stato accolto, la sperimentazione sarebbe avvenuta in 9 sedi: ma che, al momento, non era possibile comunicare quali fossero.
Pensiamo che le due affermazioni siano, per certi aspetti, collegate e illustrino bene la posta in gioco nella discussione.
È vero. DECS e governo possono organizzare l’attività di innovazione e sperimentazione: la legge della scuola (articolo 13) prevede che “La scuola, attraverso processi di sperimentazione, promuove e controlla le opportune innovazioni in materia di organizzazione, di piani di studio, di metodi e di tecniche di insegnamento” e che (cpv. 3 del medesimo articolo) “le istanze competenti ad autorizzare e a revocare lo svolgimento di sperimentazioni sono: a) il Consiglio di Stato qualora s’imponga la deroga temporanea a disposizioni legali e b) il Dipartimento, qualora s’imponga la deroga temporanea a disposizioni di applicazione, ivi compresi i piani di studio e i metodi”.
Detto in altri termini, il governo avrebbe potuto decidere di mettere in pratica quanto contenuto nel proprio emendamento senza passare attraverso l’approvazione del Parlamento. Aggiungiamo: potrebbe farlo, anche oggi, in qualsiasi momento.
E allora, non possiamo non chiedercelo, per quale ragione Bertoli e il governo hanno deciso di affrontare un Parlamento e rischiare, come è avvenuto – di farsi impallinare? E non certo per il pericolo dei voti “decisivi” dell’MPS: era nell’ordine delle cose possibili e probabili che il PPD (o una parte di esso) votasse contro l’emendamento; il destino della proposta era quindi in mani ben più decisive di quelle dell’MPS. Per quale ragione Bertoli ha scelto questa strada? Non certo, come ha tentato di spiegare, per “spirito democratico” o per “rispetto” del Parlamento, o, ancora, per una scelta di “trasparenza”; e nemmeno per vedersi confermato un orientamento sperimentale i cui contenuti erano tutt’altro che chiari e definitivi.
No, non è per questo. Bertoli voleva un voto del Parlamento per superare le resistenze generalizzate provenienti dall’interno della scuola: docenti, direttori, esperti di materia che avevano emesso forti critiche a quella proposta di sperimentazione e che l’MPS ha fatto proprie. L’impossibilità di comunicare in quali sedi si sarebbe sperimentato è proprio legata a questo. Da un lato poiché i direttori, in modo quasi unanime, avevano espresso parecchie riserve, in particolare su forme e tempi della sperimentazione; dall’altro, soprattutto, poiché la stragrande maggioranza dei collegi dei docenti si era espressa in modo fortemente critico sul progetto in sede di consultazione.
Certo, ci si potrebbe chiedere: quale legittimità hanno i Collegi dei docenti rispetto a forme di sperimentazione nella scuola? Ce l’hanno, eccome! Lo dice la stessa legge della scuola che, all’art. 37 lett. c), affida al collegio dei docenti il diritto di “promuove(re) le sperimentazioni”. È vero che in questo caso erano DECS e governo a promuovere la sperimentazione: ma le obiezioni provenienti dai collegi erano la dimostrazione che tale promozione era tutt’altro che condivisa.
Da qui la necessità di un voto del Parlamento che spazzasse via tutte queste resistenze nel mondo della scuola. E ben si comprende il rifiuto, opposto fino alla fine da parte della direzione del DECS, di rendere pubblici i documenti relativi alla consultazione (bell’esempio di “trasparenza”!); in particolare la presa di posizione dei direttori (alla quale pubblicamente non si è potuto accedere); o, ancora, la censura della presa di posizione della consulta dei presidenti dei collegi dei docenti delle scuole medie, bloccata poiché, Bertoli dixit, conteneva affermazioni sbagliate.
Se vista in questa prospettiva, e partendo proprio dalle dichiarazioni del direttore del DECS, il passaggio e la discussione parlamentare assumono politicamente un significato ben diverso.
Ma Bertoli non deve disperare. Ha tutti i mezzi a disposizione (legali e finanziari) per procedere ad una seria e completa sperimentazione che apra la via, oltre che all’abolizione dei livelli, ad una urgente e necessaria riforma della scuola media. Affinché questo avvenga non deve convincere i parlamentari, ma docenti, direttori ed esperti di materia della bontà del suo progetto. Naturalmente, come ha dimostrato la questione della mancata pubblicazione delle prese di posizione sulla consultazione, il clima creatosi, sotto la sua direzione in questi ultimi anni, all’interno del mondo della scuola non è dei migliori. Ma non è mai tardi per cambiare atteggiamento e dare voce, finalmente, a coloro che la scuola la fanno tutti i giorni.
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