Standing Ovation
Il ritorno in scena, a sorpresa, di Joni Mitchell: un evento non solo musicale, che suggella la grandezza di un’artista infinita
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Il ritorno in scena, a sorpresa, di Joni Mitchell: un evento non solo musicale, che suggella la grandezza di un’artista infinita
Impossibile aspettare ancora, esitare, per mettere in fila adeguatamente le parole che potrebbero forse servire a rendere omaggio ad una leggenda della musica degli ultimi sessant’anni. Il recentissimo concerto a sorpresa tenuto al Festival Folk di Newport da Joni Mitchell è uno di quegli “eventi” che non saranno mai onorati ed omaggiati abbastanza. Insomma, le parole non saranno mai sufficienti, non basteranno, in nessun caso.
Perché a ritrovare l’immensa cantautrice, nelle immagini che girano viralmente in social e Youtube, viene solo voglia di fermarsi e inchinarsi, ascoltarla nella sua gioiosa e consapevole fatica di offrire ancora una volta il suo straordinario repertorio ed esultare almeno idealmente in una lunga standing ovation piena di gratitudine verso questa donna che è tornata in scena dopo 20 anni e soprattutto dopo essere stata vittima di un aneurisma cerebrale che, nel 2015, le aveva rubato la mobilità e la voce, insomma la sua stessa essenza.
Joni Mitchell, cantante folk canadese divenuta faro della mitica stagione della musica West Coast californiana, è artista che ha attraversato i decenni, dagli anni ’60, in una crescente popolarità che non le ha impedito costantemente di sperimentare in campo rock, blues, jazz i suoi complicatissimi accordi a sorreggere un modo di cantare inimitabile. Tanto amata (in tutti i sensi) da molti suoi colleghi, e tanto rispettata, quasi temuta dall’industria discografica, lei, proprio lei, compare da un paio di giorni in un filmato amatoriale da milioni di visualizzazioni ad intonare i suoi brani più celebri: ed è magone, commozione pura, gratitudine per un momento che ha del miracoloso, capace di far dimenticare, almeno per un attimo, a chi guarda e ascolta, le tante crudeli dissonanze di un mondo che gira senza senso, nella rincorsa della propria fine.
In quell’America piena di ferite, in cui la “canadese” Joni Mitchell ha avuto anche un ruolo di “coscienza civile”, ritrovare la sua voce e la sua carismatica presenza oggi, proprio a Newport, dove aveva praticamente esordito nel 1969, lascia come un senso di vertigine nel mostrarsi per quello che è: un vero evento, non solo musicale, che ci offre dell’America e in fondo anche di noi stessi la parte forse migliore, quella più inquieta, colta, introspettiva, inclusiva, aperta, ribelle ma in costante dialogo.
A 78 anni, seduta in una sorta di onorifica poltrona, Joni Mitchell è stata riportata sul palco, per questa “reunion” con vari musicisti, dalla cantante Brandi Carlile (davvero brava, anche nello stare accanto al proprio “mito”, nel sorreggerla, se del caso, vocalmente, in assoluta umiltà e ammirazione sconfinata) per l’esecuzione di tredici brani, compresa una cover di “Summertime”.
A dominare, fin dai primi accordi, brani che fanno ormai parte di diritto della storia della musica moderna, come “A case of you”, “Big Yellow Taxi”, “Both side now”, fino “Just like this train” in cui la festeggiata ha proposto un proprio assolo di chitarra: da restare a bocca aperta.
Del resto, Joni Mitchell ha sempre lasciato tutti, critici e pubblico, regolarmente a bocca aperta, e senza parole, se non le sue, quelle delle sue canzoni, con quei suoi testi impegnativi, poetici, spesso, come si diceva forse una volta, “impegnati”.
A Newport, l’altro giorno, è riapparsa un’icona, un’artista incommensurabile, patrimonio dell’umanità. E che oggi noi si possa ancora godere del suo repertorio interpretato da lei, una volta di più, sperimentalmente, nell’adattare in modo geniale l’ esecuzione alle sue condizioni di salute, non può che renderci, per un momento, e senza vergogna, un po’ più felici.
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