Stiamo facendo la fine della rana?
Quando un cambiamento avviene in modo lento e graduale sfugge alla coscienza, diventa invisibile, non suscita nessuna reazione. Esattamente quel che accade con l’emergenza climatica
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Quando un cambiamento avviene in modo lento e graduale sfugge alla coscienza, diventa invisibile, non suscita nessuna reazione. Esattamente quel che accade con l’emergenza climatica
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Quando un cambiamento avviene in modo lento e graduale sfugge alla coscienza, diventa invisibile, non suscita nessuna reazione. Esattamente quel che accade con l’emergenza climatica
Loro, i giovani attivisti, stanno combattendo una giusta battaglia contro chi guarda con malcelata indifferenza a un futuro che non gli appartiene. Durante la pandemia ci furono plateali segnali di redenzione e larghe condanne al consumismo senza freni, ma poi, passata la grande paura, siamo ritornati peggio di prima. Noam Chomsky, il filosofo americano poco gradito ai conformisti del pensiero dominante, ci spiega che le cose cambiano quando ci sono persone che si impegnano affinché ciò avvenga: l’attivismo della giovane generazione che profana i musei e protesta nelle strade compie una legittima azione civilizzatrice nel tentativo di contrastare il riflusso neoliberista di questi ultimi decenni. L’opera d’arte diventa perciò un veicolo di sensibilizzazione e di consapevolezza sociale. Questo è. E allora, chi sono i barbari, noi o loro?
In un precedente contributo, nel tentativo di spiegare l’insensibilità diffusa nei confronti della catastrofe climatica che incombe, ricorrevo alla teoria della costruzione sociale del rischio: quando un fenomeno di degenerazione ambientale si sviluppa per gradi nel tempo, la percezione del rischio tende a scemare, fino a scomparire. Un ottimo giornalista, Peter Gomez, ha evocato a tal proposito la metafora della rana bollita. Subito mi sono rammentato che proprio Noam Chomsky, in un suo libro del 2014, Media e Potere (Bepress, Lecce), ci spiegava con lucida efficacia il principio della rana bollita (si rifaceva ad una antica e cruenta ricerca di laboratorio, oggi ritenuta poco attendibile): buttate una rana in una pentola di acqua bollente e quella salterà fuori immediatamente; buttatela nell’acqua fredda che si riscalda lentamente e quella la troverà dapprima gradevole e poi troppo calda ma non avrà più la forza di reagire e finirà morta bollita. Morale: quando un cambiamento avviene in modo lento e graduale sfugge alla coscienza, diventa invisibile, non suscita nessuna reazione. È quello che sta succedendo: oggi c’è una sorta di indifferenza rassegnata, di assuefazione alle condizioni di disagio del nostro pianeta. Conclude Chomsky: gli storici del futuro guarderanno con sgomento allo spettacolo odierno.
Domanda. Perché gridiamo inorriditi al “crucifige” contro gli attivisti del clima e non facciamo altrettanto contro chi giorno dopo giorno sta cancellando il nostro futuro? Risposta. Perché trovare rimedi significa mettere in discussione le nostre abitudini e il nostro apparente benessere materiale. E quindi coltiviamo l’indifferenza e liquidiamo la faccenda con uno sbuffo che rinvia le soluzioni ai posteri. Oppure ci consoliamo con le idiozie di quel politico che, in campagna elettorale, giura e spergiura che i cambiamenti climatici sono fenomeni del tutto naturali e l’uomo c’entra poco!
Certo le varie conferenze sul clima consentono ai politici di garantire che si sta provvedendo a riparare i danni. Ma poi si constata che oggi è peggio di ieri. Imperversa nel linguaggio della politica il greenwashing, l’ambientalismo di comodo, a cui pure il comune cittadino dà una mano e infatti le varie misure proposte per limitare i guasti ambientali e chiamare alla cassa i responsabili sono quasi tutte fallite in votazione popolare.
Consiglio di lettura. Vi invito a passare in una qualsiasi biblioteca, a consultare il libro di due autori, Telmo Pievani e Mauro Varotto, Il giro del mondo nell’Antropocene (Cortina Editore, Milano, 2022) e ad osservare le carte del mondo elaborate da Francesco Ferrarese: fatelo e vedrete come saremo ridotti fra qualche secolo. Quello che inquieta oggi, concludono gli autori, è l’incapacità di passare dalla conoscenza (la scienza ci informa sulle cause del degrado) alla consapevolezza, e dalla consapevolezza a un’azione efficace per riparare. Ce lo dicono anche i giovani attivisti, ma noi li rimproveriamo perché il barattolo di vernice no, proprio no! Abbiamo ragione noi o loro? Avete dei dubbi in proposito?
Scritto per laRegione
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