Sulle tracce dei grandi interpreti della musica africana – 4
Cesaria Evora, la regina della musica di Capo Verde
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Cesaria Evora, la regina della musica di Capo Verde
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Cesaria Evora, la regina della musica di Capo Verde
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Cesaria Evora canta “Sodade”, il suo più grande successo
“Quando avevo vent’anni e giocavo a calcio, se a me e ai miei amici avessero chiesto di che origine eravamo avremmo risposto che eravamo brasiliani: sarebbe stato troppo complicato spiegare dov’era e cos’era il Capo Verde… È stato solo quando Cesaria Evora è diventata una star che ho cominciato a dire, orgogliosamente, che ero capoverdiano”.
José da Silva al Capo Verde aveva giusto fatto in tempo a nascerci: viene al mondo a Praia, la città più importante dell’arcipelago (e oggi la capitale), mentre i genitori stanno aspettando l’imbarco – la nave è in ritardo di un mese – per andare a cercare migliore fortuna a Dakar, in Senegal. Rimasta sola, quando José è ancora molto piccolo, la madre poi emigra in Francia, dove José cresce: il Capo Verde lo vede per la prima volta solo quando, ormai adulto, decide di andare a trovare la nonna, che vive in una bidonville di Mindelo, la città dei genitori, e di Cesaria Evora.
Poi, una fatidica sera, a Lisbona ascolta Cesaria e ne rimane folgorato. Cesaria Evora è ormai una donna di mezza età, con un carattere reso difficile e aspro dalle amarezze. Da giovane a Mindelo ha realizzato delle incisioni, ma presto le rosee prospettive di una carriera sono svanite. Ha continuato a cantare nei bar della sua piccola città, ma il destino non le ha sorriso e non solo nella musica ma anche nella vita personale. Negli anni settanta ha addirittura smesso di esibirsi. Però nella seconda metà degli ottanta Bana, importante cantante capoverdiano che si è stabilito con successo a Lisbona, la invita nella capitale portoghese, e per la prima volta Cesaria esce dal suo modesto cabotaggio locale.
Poi si fa avanti José da Silva, che si propone come manager e la porta ad esibirsi in Francia, inizio del decollo di un quarto di secolo di trionfi, che da Silva ha gestito con grande intelligenza e tatto sia sul piano dell’attività live che discografica, fino alla morte della cantante nel 2011.
Come testimonia autobiograficamente l’esperienza dello stesso José da Silva, il successo di Cesaria Evora ha rappresentato un eccezionale fattore di orgoglio nazionale e anche di rafforzamento del senso di sé dei (tantissimi) capoverdiano della diaspora: e ha anche di fatto funzionato come una formidabile campagna di immagine e di promozione turistica del Capo Verde, una manciata di isole a circa cinquecento chilometri dalle coste del Senegal.
L’affermazione mondiale di Cesaria Evora ha fatto scoprire al mondo un universo musicale e poetico straordinario che fino a quel momento, al di fuori dell’arcipelago e delle comunità della diaspora (dal Senegal agli Stati Uniti, dall’Olanda all’Italia al Portogallo) era praticamente sconosciuto: il successo di Cesaria ha costituito – e continua a costituire – un potente traino per tutta la musica capoverdiana, anche per quella più moderna o di filoni diversi rispetto alla morna e alla coladera, i generi (in particolare il primo) resi famosi da Cesaria.
Il successo di Cesaria Evora ha inoltre contribuito in maniera significativa ad alcune dinamiche che riguardano la musica africana e la fruizione occidentale della musica del “sud” del mondo.
Naturalmente l’arte di Cesaria è fuori discussione, e certi effetti non del tutto positivi della sua affermazione mondiale non sono certo una sua colpa.
Per quanto riguarda gli effetti positivi bisogna tornare agli anni Ottanta. Nel 1987 esce Yeké Yeké di Mory Kanté, un hit mondiale che – possiamo dire – è per gli anni Ottanta quello che Soul Makossa di Manu Dibango è stato, quindici anni prima, per i Settanta: un exploit clamoroso, e un brano che comunica dell’Africa un’immagine estremamente moderna, avanzata, spregiudicata. Yeké Yeké rafforza però diversi artisti africani nel loro spasmodico tentativo – a costo di lasciarsi pesantemente manipolare dalle major discografiche – di cercare appunto l’hit mondiale e delle alchimie musicali (con forti elementi rock ed elettronici) che ammicchino ai gusti del pubblico occidentale: su questa linea, sarà Mory Kanté per primo – alla ossessiva ricerca del bis di Yeké Yeké – a rovinarsi la carriera.
Negli anni Novanta il successo di Cesaria Evora, con la sua musica acustica e aderente a consolidati canoni locali, convince invece molti artisti africani che per raggiungere il successo non è necessario accettare gravi compromessi e svendersi, che possono rimanere se stessi e che anche la dimensione acustica può fare breccia.
Tuttavia, il successo di Cesaria Evora arriva ai primi anni Novanta, quando dalla fine degli Ottanta dal continente nero sono cominciati a filtrare i primi significativi segnali di diffusione fra i giovani dell’hip hop: negli anni Novanta si registra nell’ambito della world music una certa moda dell’hip hop senegalese, ma l’interesse per l’hip hop africano negli anni Novanta rimane tutto sommato marginale. Si tratta di un altro segno di divaricazione tra la realtà musicale in rapido cambiamento del continente, e la rappresentazione della musica africana offerta dalla world music.
Per i consumatori occidentali, Cesaria Evora rappresenta un’Africa assai più rassicurante e confortante rispetto all’hip hop, più aderente all’idea di autenticità e tradizione che il consumatore/turista occidentale medio ama associare all’Africa e anche alla sua musica: e quella di Cesaria Evora è una musica molto romantica e di agevole fruizione sulla base di criteri estetici abituali per un ascoltatore occidentale. In tutto questo intreccio di elementi, il successo di Cesaria Evora anticipa a ben vedere di qualche anno il clamoroso successo mondiale degli attempati artisti cubani di Buena Vista Social Club.
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