Sulle tracce dei grandi interpreti della musica africana – 3
Intorno alla juju music nigeriana di King Sunny Adé
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Intorno alla juju music nigeriana di King Sunny Adé
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Intorno alla juju music nigeriana di King Sunny Adé
King Sunny Adé in un un’esibizione a Seattle nel 2009
Se per la musica africana gli anni Ottanta sono una cruciale fase di affermazione fuori dal continente nero, nella sua ricezione internazionale le ombre non mancano. Un caso emblematico è quello di King Sunny Adé, chitarrista, vocalist e leader, alfiere della juju music nigeriana.
Classe 1946, Adé appartiene ad una generazione più anziana rispetto a molti altri musicisti africani che salgono alla ribalta con l’onda della world music degli Ottanta, come per esempio Youssou N’Dour. Adé guida un proprio gruppo fin dalla seconda metà degli anni Sessanta, nei Settanta in Nigeria è già un musicista di successo, che addirittura dà vita ad una propria etichetta indipendente. Il fenomeno della valorizzazione della “nuova musica africana” degli anni Ottanta lo trova quindi già in condizioni di piena maturità artistica e commerciale: in effetti King Sunny Adé è uno dei primi musicisti africani ad emergere sulla scena internazionale, ed è certamente anche una delle personalità più forti e significative.
Non è un caso che già nell’82 l’etichetta Island tenti di costruire su di lui un’operazione quanto mai ambiziosa. Nel 1981 è morto Bob Marley, e la Island ha l’idea di lanciare un altro artista del “terzo mondo” come star globale: ed è proprio a King Sunny Adé che la Island pensa come al “nuovo Bob Marley”. La Island affianca ad Adé il produttore francese Martin Meissonier, il quale introduce nella musica di Adé – imperniata sulle chitarre e sulle percussioni – sintetizzatore e batteria elettronica; ad Adé, abituato in Nigeria a registrare brani di una ventina di minuti, viene inoltre richiesto di ridurre drasticamente la durata dei pezzi, in modo da renderli più funzionali alla fruizione occidentale e alla diffusione radiofonica.
Nel 1982 esce per la Island Juju Music, un album che ottiene grandi consensi dalla critica e che diventa una pietra miliare dell’affermazione di un beat “world”. L’esperimento tuttavia non è destinato a proseguire. Adé parte per un tour internazionale che dovrebbe servire a promuovere l’album, ma il musicista nigeriano attinge solo marginalmente dai brani del disco e suona seguendo una logica di durata dei brani e delle esibizioni che è quella a cui è abituato, con concerti che durano anche tre ore. Malgrado l’accoglienza al disco e al tour sia positiva, la Island non ottiene i riscontri sperati, e trova in Adé un interlocutore non sufficientemente malleabile: da parte sua Adé recalcitra apertamente rispetto alla manipolazione della sua musica tentata dalla casa discografica, che trova frustrante, e il rapporto si esaurisce.
Del resto anche Adé, all’epoca più ancora di un Youssou N’Dour più giovane di lui, ha le spalle larghe: ha il sostegno del pubblico nigeriano, in Nigeria – un paese demograficamente e discograficamente poderoso – può pubblicare in maniera indipendente, insomma Adé non dipende dal suo successo all’estero. Più avanti, nel corso degli anni Ottanta, ci sarà un altro tentativo di lanciare discograficamente King Sunny Adé a livello internazionale: ma intanto il momento più favorevole è passato, l’interesse della world music verso la musica africana si è già orientato diversamente, e i risultati non sono clamorosi.
Di tanto in tanto Adé sarà anche in tour in Europa e negli Stati Uniti – con concerti strepitosi, ipnotici, una vera, eccezionale esperienza di musica africana moderna dal vivo – ma la musica nigeriana presso il pubblico internazionale sarà rappresentata fondamentalmente da Fela Kuti (mancato poi nel ’97) e dagli epigoni del suo afrobeat.
Nel nuovo millennio poi le etichette di world music si sono dedicate ad una valorizzazione del modernariato della musica nigeriana certamente meritoria, ma che della musica nigeriana ha proposto all’attenzione del pubblico occidentale solo alcuni aspetti, più vicini alla sua sensibilità e alle sue abitudini di ascolto (afrobeat, appunto, e declinazioni nigeriane del soul, del funk, eccetera), mentre non solo non si sono preoccupate di illuminare quello che di nuovo bolliva in pentola nella musica del grande paese africano, ma hanno anche trascurato uno sguardo retrospettivo su giganteschi filoni come appunto la juju music o la fuji music.
Già negli anni Ottanta della golosa scoperta della “nuova musica africana”, ecco dunque un esempio quanto mai significativo di divaricazione tra la realtà della musica africana moderna e la sua rappresentazione sulla scena della world music. Una divaricazione che, per quanto riguarda la Nigeria, nei decenni successivi non ha fatto altro che allargarsi: oggi, a parte gli epigoni dell’afrobeat, la musica attuale di un gigante come la Nigeria è completamente fuori dai riflettori della fruizione della musica africana attraverso i canali discografici e mediatici della world music.
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