Un anglicismo inutile
Quello che mancava agli over fifty: il job mentor
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Quello che mancava agli over fifty: il job mentor
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• – Franco Cavani
Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Ieri abbiamo appreso che per favorire il mantenimento nel mercato del lavoro degli over 50, che in italiano sarebbero le persone con più di 50 anni ma un anglicismo ci sta sempre bene, la Segreteria di Stato per l’economia (SECO) ha approvato la proposta del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) per la creazione di un “job mentor” (un mentore del lavoro, tradotto alla lettera), ossia colui che, vocabolario alla mano, dovrebbe essere per un cinquantenne una specie di consigliere, una guida saggia e paterna come lo era nell’Odissea il vecchio Mentore per Telemaco, figlio di Ulisse, durante le assenze del padre.
Dovessimo prendere la denominazione alla lettera, significherebbe che dovremmo assumere degli ottantenni per prendersi cura dei cinquantenni; più realisticamente, avremo dei trentenni che proveranno a insegnare a dei cinquantenni come trovare un mestiere che loro, i trentenni beninteso, non hanno mai praticato e di cui ovviamente conoscono poco o nulla (vero che recentemente abbiamo letto un capitano di industria discettare sul modo di fare informazione, per cui non dobbiamo stupirci più di nulla). Oppure a reinventarsi in una nuova professione, magari smart, perché l’inglese fa sempre figo e quindi non può mancare mai.
Più realisticamente, se va bene, insegneranno ad alcuni a fare dei curriculum decenti, curriculum che verranno immediatamente cestinati dagli uffici del personale appena vedranno la data di nascita, e ai più alcuni trucchetti per riuscire a fare una migliore impressione durante i colloqui di lavoro, che tuttavia mai avverranno per il motivo esposto prima.
Credo sia ora di affrontare la realtà: i cinquantenni, per lo meno la maggior parte di loro, vengono licenziati perché costano troppo, e sostituiti con manodopera che costa meno. Punto. Non certo per questione di formazione o di qualità, che anzi spesso è piuttosto alta, visto l’esperienza cumulata. È questione, per il datore di lavoro, di comprimere le spese e ridurre la massa salariale (magari avrà anche i suoi buoni motivi, ma questo è); il resto, per dirla alla romanesca, sono fregnacce.
Forse, se davvero il DFE volesse provare a reinserire nel mondo di lavoro i cinquantenni (pardon, gli over 50), più che creare un dispendioso “job mentor” – perché uno stipendio a questi poverini, malgrado la loro più che probabile inutilità, bisogna pur darglielo – farebbe meglio a imporre per lo meno alle risorse umane degli enti pubblici e parapubblici di analizzare con attenzione i curriculum indipendentemente dall’età, e di iniziare a chiamare ai colloqui chi davvero ha credenziali, esperienza e qualità per occupare il posto messo a concorso. Costa meno, e probabilmente rende di più.
Si chiama equità, ossia dare a tutti le stesse possibilità (com’è che si traduce in inglese?).
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