Loop violenti
L’infernale circolo vizioso fra vittima e carnefice
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L’infernale circolo vizioso fra vittima e carnefice
• – Simona Sala
Human Rights Watch denuncia le pratiche di Israele nei Territori occupati. Il silenzio è mondiale
• – Aldo Sofia
Con le nuove varianti i più giovani sono colpiti in modo maggiore, in alcuni casi con conseguenze gravi
• – Riccardo Fanciola
foto © Marco D’Anna Se c’è ancora un viaggio da fare io lo farò. – Ma sei troppo vecchia, sei un relitto e sei arenata nel fango. – E tu Luna? Non sai che...
• – marcosteiner_marcodanna
Forti investimenti pubblici, ma il mondo economico-finanziario è in grado di resistergli
• – Aldo Sofia
Un atto di banale civiltà tra un florilegio di cavolate
• – Marco Züblin
Se non fosse chiaro, il nostro naufragio è metaforico. È un naufragio mentale, non una condizione di vita, o di morte. Con tutta la comprensione e solidarietà per chi ne vive il...
• – Franco Cavani
Dal 19 aprile le nuove disposizioni hanno permesso la riapertura di diverse attività. In questo ambito sono comprese anche le palestre e i teatri. Con questo reportage ho voluto...
• – Patrizio Broggi
Fra politicamente corretto e “cancel culture“
• – Enrico Lombardi
Amenità della politica locale nel dopo-elezioni
• – Marco Züblin
Il grafico afroamericano Carter si sveglia di soprassalto nel letto di Perri, dopo una notte di passione. È trafelato perché ha avuto un incubo: dopo una notte d’amore con Perri ed essersi dati un potenziale appuntamento per il futuro, quando è sceso in strada, deciso a tornare dal suo cane Jeter, una serie di sfortunati eventi lo ha portato nel mirino del poliziotto razzista (bianco) Merk con l’unico epilogo possibile: la morte di Carter.
Al più tardi al terzo risveglio di soprassalto da parte di Carter, che ha vissuto per l’ennesima volta la propria morte per mano del poliziotto Merk, il nostro capisce di essere finito in un loop temporale: l’infinito reiterato circolo vizioso della vittima e del proprio carnefice.
Questa è la storia magistralmente narrata nel cortometraggio Due estranei, di Travon Free e Martin Desmond Roe, vincitore di un Oscar e disponibile su Netflix dal 9 aprile
E assomiglia un po’ a quelle delle donne in Afghanistan, viene da dire. Dove, indipendentemente dalla bandiera o dalla (presunta) ideologia di chi sparerà o ucciderà, l’epilogo sarà sempre lo stesso, invariato: la donna, in virtù del fatto di possedere un utero, delle ovaie, dei seni e una vagina, morirà. Proprio come l’afroamericano, colpevole di essere “rivestito” di una patina epidermica di tonalità più scura di chi è al comando.
Ieri a Kabul sono state le decine di ragazzine (tra gli 11 e i 15 anni) assetate di istruzione (perché la vera libertà passa attraverso la conoscenza), fatte esplodere da una vigliacca bomba sanguinaria. L’altro ieri erano sempre loro, con il corpo sepolto e la testa che emergeva dalla terra, esposte alle sassaiole dei fanatici per un presunto adulterio. Il giorno prima ancora, sempre loro, bottino sessuale di talebani e ISIS, e ancora prima, con il corpo dilaniato per avere ingurgitato il letale detersivo con cui speravano di liberarsi dallo spietato giogo famigliare.
È il loop delle vittime, di cui cambiano i nomi, ma non le caratteristiche (somatiche, di genere), destinate a finire nelle maglie stritolanti di un karma spietato e predefinito, difficile da spezzare. A noi, da questa parte del mondo, quella tutto sommato fortunata, resta solo il silenzio o tutt’al più una simbolica mano tesa, che per quanto forte possa stringere, sa esprimere solo cose di poco valore e utilità: tristezza, delusione e disincanto. Fattori comunque insufficienti per smettere di combattere.
Continuiamo dunque a farlo, anche per loro.
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