Un funambolo a Downing Street
Boris Johnson costretto alle dimissioni da scandali e insuccessi politici; un bilancio deludente, se non disastroso, con tanto di Brexit
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Boris Johnson costretto alle dimissioni da scandali e insuccessi politici; un bilancio deludente, se non disastroso, con tanto di Brexit
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Eppure, “BoJo” è un puro prodotto – per provenienza famigliare, per i prestigiosi college frequentati, per i noti festini di cui era protagonista con gli arroganti universitari dell’alta società – di quella élite inglese conservatrice, iperliberista, famelica di potere economico e politico, che ancora detiene le principali leve dell’establishment, e che ha imposto al paese, complici gli ultimi leader laburisti (la deriva blairiana prima e l’ingenuità radicale di Jeremy Corbin poi), un modello di società sempre meno solidale e sempre più individualista. Soltanto la disordinata esuberanza di Johnson poteva nascondere questa realtà di fondo. Del resto, già con la Thatcher il partito conservatore aveva affidato le redini della nazione alla figlia di un droghiere, cosciente di scegliere il connubio ideale fra una ‘signora del popolo’ e una suffragetta accanita del sistema liberale (“La società non esiste, esistono gli individui” diceva uno dei suoi refrain politici preferiti).
Così, anche per Boris Johnson vi fu il grande equivoco in cui si crogiolò un fronte europeo populista e ignorante, che lo esaltò come l’uomo spregiudicato, in grado di mettere alla berlina l’odiato e indefinito establishment. In realtà l’ormai ex premier doveva realizzare il grande progetto delle élites reazionarie inglesi per riprendere le redini del potere, di tutto il potere, sottraendolo ai limiti (in verità assai laschi e generosi con Londra) del difficile procedere comunitario. E Boris ‘il pagliaccio’ (definizione laburista, ma non solo) era il personaggio ideale, grazie alla sua ambivalenza: al tempo stesso populista di facciata ed elitario nella sostanza.
E poco importò se durante la campagna per la Brexit abbondarono da parte del partito conservatore le statistiche inventate, le promesse inverosimili, le falsità distribuite a piene mani. Il colonialismo della componente inglese del Regno (allarmata dalla possibilità che nel contesto europeo potesse affermarsi l’irredentismo della Scozia o dell’Irlanda del Nord) aveva comunque colto lo stato d’animo di una popolazione che all’UE attribuiva ormai tutte le colpe per la perdita di identità, per l’ingiustizia sociale, per un’immigrazione in realtà spesso proficua, per la scarsa influenza internazionale di un paese che continuava a pensare ai fasti dell’impero dissoltosi dopo la seconda guerra mondiale.
Johnson poté dunque appropriarsi della Brexit riuscita, come un fiore all’occhiello. Fece fuori l’esitante Theresa May, conquistò la leadership del partito, lo portò al trionfo elettorale, un record di voti in oltre 70 anni, conquistando anche zone operaie del paese fino a quel momento roccarforti laburiste.
A quel punto, cosa o chi poteva fermare Boris Johnson? Ebbene, lo stesso Boris Johnson. Che ci si è messo d’impegno. La disastrosa gestione iniziale della lotta al Covid, lo scandalo dei party nel giardino di Downing Street mentre alla popolazione veniva chiesto di rimanere in rigido lockdown, le bugie del premier che prima negò e poi sostenne di “essere stato obbligato”, lo scandalo sessuale di uno dei suoi principali collaboratori (di cui conosceva le inclinazioni, e che nonostante ciò decise di promuovere a capogruppo parlamentare). Miscela ideale per avvelenarne la posizione; per farne il protagonista di interventi parlamentari che andavano oltre il ridicolo; per provocare continue sconfitte nelle successive elezioni amministrative; per indurre a molte dimissioni nel suo “cerchio magico”; e per l’ultima precipitosa fuga di ben trentanove fra ministri e sottosegretari.
Rimediare, ma come? Non poteva certo bastare la postura del guerriero contro l’espansionismo di Putin, né la rafforzata alleanza militare con gli Stati Uniti, e nemmeno i risultati (quali?) di uno strappo dall’UE che non ha prodotto i risultati promessi, anzi. Boris non serviva più all’élite dominante, rischiava addirittura di trasformarsi in pericolosa e irrimediabile zavorra. Dunque ‘By By Mr Johnson’. Ma non è detto che questo basterà a fare uscire il suo partito dalla crisi di credibilità in cui è stato inchiodato da una scelta rivelatasi scellerata. O ci penserà ancora una volta l’imperizia laburista?
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