Una conferenza sulle sponde del regno dell’ iperbole e dei Neinsager
La Dichiarazione di Lugano fra ovvietà e ambiguità
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
La Dichiarazione di Lugano fra ovvietà e ambiguità
• – Silvano Toppi
Il modo migliore di stare uniti continua ad essere quello di avere un nemico comune
• – Redazione
L’Europeo femminile segna l’inizio di una nuova era per tutto il movimento
• – Redazione
I principi della Dichiarazione di Lugano alla luce di quanto fatto finora dal governo Zelensky
• – Boas Erez
Anche dopo la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina resta ancora da capire, fra i tanti interrogativi, se il summit luganese sia arrivato troppo presto o troppo tardi
• – Enrico Lombardi
Nonostante i divieti e le dichiarazioni di “trasparenza” non è per nulla chiaro quanto le sanzioni vengano davvero rispettate
• – Redazione
La Nomenklatura del Cremlino non è certo compatta attorno allo zar, anzi, tutt’altro
• – Redazione
A Lugano si discute di “ricostruzione” mentre in Ucraina infuria la guerra e nel mondo non si parla che di armi. Di Bruno Brughera
• – Redazione
La Conferenza si apre oggi fra molte incognite: sul suo significato e sui risultati concreti che saprà fornire
• – Roberto Antonini
Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
La Dichiarazione di Lugano fra ovvietà e ambiguità
Tra i primi “che non hanno posto tempo in mezzo denunciando la Conferenza sull’Ucraina di Lugano” (v. articolo di Roberto Antonini ripreso anche da Naufraghi; anche se tra costoro si è infilato sarcasticamente tutto quanto si può infilare: dalla signora impedita che protesta con il cagnolino cotonato, a chi da grotti e osterie abbaia il latrato fatidico “e num a pagüm”, allo sparuto, ovviamente “folkloristico”, manipolo di “talebani dello stalinismo”, a chi ha urlato il suo orrore nel vedere la perla del Ceresio trasformata in una città sotto assedio… e via enumerando) e chi ci propone invece l’immancabile salsa alla Repubblica dell’iperbole facendoci fare un salto storico-pindarico da Marignano a Mariupol per dirci che si è “attuata de facto una revisione della politica di neutralità di portata storica”(v. ancora l’articolo di Roberto Antonini) e che, come già si prevedeva nel titolo, il “nostro”Consigliere federale Cassis, grande cerimoniere della conferenza, passerà sicuramente alla storia (forse, per analogia, come passò il sindaco Giovan Battista Rusca del Patto di Locarno, città della pace…mancata), continuo a preferire i primi.
Almeno per due motivi: l’uno, perché alla fantasia storica ad uso della mitologia nazionalpolitica preferisco la critica alla realtà storica, all’hic et nunc che si sta imbastendo; l’altro, perché in ogni epoca della storia il successo di queste “conferenze”(forse, per stare in tema e sorridendo, già quella di Gallarate prima della battaglia di Marignano), è stato garantito non dal loro valore intrinseco (che potrebbero essere i cosiddetti sette principi partoriti a Lugano, tanto “lapalissiani”, come ha detto un commentatore, quanto da dimostrare: un tipico ossimoro storico di queste conferenze…..), ma dalla potenza degli interessi e dei sentimenti ai quali quelle “conferenze” risultano favorevoli.
Che Marignano non abbia niente a che fare con Mariupol o che l’accostamento non abbia nessun senso è che la “neutralità”- che dovrebbe essere il comun denominatore, il filo conduttore o addirittura la seconda “svolta storica”- c’entra poco o niente con la battaglia del 1515 dove gli svizzeri, che avevano il controllo effettivo del Ducato di Milano, furono sconfitti. L’ottima grande mostra tenutasi al Landesmuseum nel cinquecentesimo di quella battaglia lo dimostrò e lo documentò (come pure un ottimo docufilm di Ruben Rossello alla RSI). E’ stata solo una interessata rilettura ottocentesca che ha voluto far risalire le radici della neutralità a Marignano: “nessuno di chi vi ha combattuto o ha abbandonato quella battaglia sapeva cosa volesse dire quella parola”.
Dove stia quindi questa grande revisione della politica di neutralità di portata storica per l’atteggiamento assunto dalla Svizzera con quanto è capitato e sta capitando in Ucraina (a Mariupol) è difficile da capire o da interpretare perché è un’iperbole. La realtà è semplicemente un’altra.
La Svizzera è dentro l’ambiguità di una non-scelta/scelta obbligata ben precisa, che è quella cosiddetta dell’Occidente (che è poi quella degli Stati Uniti, del dollaro,della loro politica estera, delle loro sanzioni o ritorsioni a chi non la rispetta, dei miliardi di dollari di penalità fiscali pagate dalle banche svizzere) e del Patto Atlantico (di cui la Svizzera è solo un pezzo del puzzle da prontamente collocare; non è un caso che, persino dagli ambienti avversi ad ogni legame esterno, si stia ora parlando di inevitabile adesione, pari a quella della Svezia o Finlandia, ottenendo magari anche degli sconti sui 36 aerei da combattimento americani F-35A, che sono appunto quelli della Nato). Il caso dell’Ucraina l’ha tolta di forza dalla ambiguità, in cui non poteva più rimanere, e non da una pretesa neutralità: non è certo casuale che si sia aderito istantaneamente e confusamente a sanzioni “altre” e non proprie (e una volta tanto l’Udc è stata coerente a denunciarlo). Vedervi una “svolta storica” è quindi altrettanto fantasioso o opportunista della rilettura ottocentesce della battaglia di Marignano. Forse solo in questo Marignano e la cittadina ucraina di Mariupol potrebbero avvicinarsi.
Sull’altro aspetto basterebbe soffermarci su una parola che ha tenuto banco ed è quella che è uscita maggiormente dal bel Ceresio: corruzione. Che fa quasi immancabilmente rima con ricostruzione (interessi). Con un’aggiunta pure udita: gli oligarchi ci sono anche in Ucraina (quindi, se è vero, pure quelli andrebbero spoliati e andavano contemplati in uno dei sette “principi di Lugano”). La corruzione sembra ora quasi più temuta e più da sconfiggere dello stesso Putin. Forse perché la si è sperimentata prima ed è stata causa di tanti mali (lo si è detto esplicitamente), in buona parte anche dovuta ai miliardi di dollari che il Fondo monetario internazionale aveva già profuso in Ucraina prima dell’invasione russa. Forse perché si sa che sovrasta o annienta anche i “buoni sentimenti”, che sono poi i giusti diritti o la democrazia. Quanto a dire che non c’è da attendersi la libertà e i valori dell’autodeterminazione (solo) dai soldi da promettere, raccogliere e investire o dall’afflusso continuo di armi micidiali o dall’ adesione a questa o quella organizzazione economica o miltare (pensiamo a paesi tutt’altro che democratici annidati nell’Ue o nella Nato).
Quanto a dire che, probabilmente, anche i Neinsager luganesi non erano poi solo burattini da bruciare, qualche ragione potevano averla, anche se non appartenevano alla Repubblica dell’Iperbole.
Da Roma al vertice di Glasgow sul clima: ‘tenute vive le speranze’ dice il premier italiano, ma dal summit dei ‘grandi’ poca concretezza
Tra un mese e mezzo, le elezioni dell’assemblea che riunisce 27 nazioni: previsioni che annunciano l’avanzata delle destre continentali, ma fino a che punto e con quali...