A proposito di cause ed effetti
Anche dopo la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina resta ancora da capire, fra i tanti interrogativi, se il summit luganese sia arrivato troppo presto o troppo tardi
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Anche dopo la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina resta ancora da capire, fra i tanti interrogativi, se il summit luganese sia arrivato troppo presto o troppo tardi
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Anche dopo la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina resta ancora da capire, fra i tanti interrogativi, se il summit luganese sia arrivato troppo presto o troppo tardi
Eppure, al di là del roboante annuncio di un secondo Piano Marshall ( di cui non si è ovviamente vista l’ombra) le occasioni di scambio, di incontro e soprattutto di unanime sostegno alla causa ucraina che la Conferenza ha pur espresso, possono essere considerate un relativo (e forse addirittura insperato) successo di un’operazione diplomatica che aveva tutti i crismi dell’ambiguità.
Con la benedizione della Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, la nutrita delegazione ucraina vede sostanzialmente approvata e condivisa una serie di “principi” sufficientemente generici da trovare pieno sostegno fra i ranghi delle numerose delegazioni accorse sul Ceresio un po’ per inerzia e un po’ per obbligo (e magari, anche, un po’ per “marcar presenza”).
Abbiamo dunque i sette punti della “Dichiarazione” che per la Von der Leyen costituiscono l’inizio di un nuovo approccio alla questione ucraina: bontà sua, ma dire poi che a settembre in Germania ci sarà un vertice con tutte le più grandi intelligenze del pianeta non è come “archiviare” un po’ tanto rapidamente la “pratica” luganese?
Come i vizi o i sacramenti sono sette, i punti, ma molto più blandi nell’esprimere quelli che generalmente si dicono “buoni propositi”, come fossero una sorta di elenco dei compiti che l’Ucraina deve svolgere nel corso dell’estate per passare gli esami (di trasparenza, di democrazia, ecc.) previsti per l’autunno. Che poi fra i “maestrini dalla penna rossa” che impartiscono raccomandazioni in tal senso vi siano Paesi (compreso il nostro) che non hanno poi solo da insegnare, beh, quella è un’altra questione.
Ma l’interrogativo che si pone è anche (o ancora) quella della “tempistica” con cui questi punti dovrebbero segnare un “prima e un dopo” ed incidere nello sviluppo di un’iniziativa comune UE-Ucraina. È questo il momento di svolta? Saranno, i sette punti, la ragione, la direttrice dei prossimi passi che portano alla fine del conflitto ed all’integrazione dell’Ucraina in Europa? Oppure tutte queste premesse sono da tempo sul tavolo di ogni summit diplomatico europeo relativo alla questione e a Lugano non si è fatto che ribadirlo (così come ha fatto Zelensky, nel suo video-collegamento, reiterando sue esternazioni degli ultimi mesi)?
Ecco, per intenderci, a Lugano si è avviato un processo (pur con tutto il discutibile anticipo) oppure si è arrivati a chiudere una prima fase di sostanziale inazione delle istituzioni europee, ed ora toccherà alla Germania prendere in mano la situazione, e con lei i principali attori del G7 e della NATO?
Inizio o fine, premessa o conseguenza, causa o effetto? Difficile dirlo, tanto più che la guerra in corso, in tutta la sua brutalità, non solo semina quotidianamente morte e disperazione, ma anche non pochi dubbi e contrasti (e una camionata di contraddizioni) nella gestione dei rapporti con il brutale invasore, che si continua giustamente a deprecare e da cui si continua però a dipendere economicamente in maniera per lo meno inquietante.
E anche in questo senso, la relazione di causa ed effetto trova non pochi elementi di messa in discussione. Prendiamo, ad esempio, i primi giorni, le prime settimane di conflitto, ed il dibattito, accesissimo, che si è svolto in Europa sulle sue cause. Sappiamo tutti come soprattutto nella sinistra europea vi sia stata una evidente frattura fra fronti; fra coloro che “la causa è Putin e nessun altro”, e quelli che invece “la causa sono USA e NATO”. E così è partita la sequela infinita di dibattiti e scontri (in cui i media hanno a volte sguazzato in modo inverecondo) fino ad esaurimento (delle forze e delle argomentazioni).
Con il passare del tempo è parso sempre più chiaro a tutti (“guerrafondai” e “pacifisti”) che in ogni caso si tratta di un’aggressione illegittima e criminale preparata, studiata e poi perpetrata dal Cremlino per i propri disegni di espansione e contrapposizione con l’UE. Proprio a tutti, in verità no, ma su certe posizioni “comuniste” (anche dalle nostre parti) non è proprio il caso di soffermarsi.
Va però anche detto che, nel frattempo, in questi quattro e passa mesi di guerra, si sono pure succedute, quasi per un “effetto domino”, una serie di “conseguenze” che hanno visto i Paesi dell’Europa orientale confinanti con la Russia o ex-sovietici, mostrarsi quanto mai ondivaghi nel sanzionare e contrapporsi; Paesi scandinavi come Svezia e Finlandia correre ai ripari chiedendo di aderire alla NATO e vedersi chiusa la porta dal veto turco; la Turchia di Erdogan che non solo si propone come poco rassicurante mediatore, ma pone pure condizioni per dare il via libera a Svezia e Finlandia, ottenendo un accordo che gli permette di continuare a massacrare i curdi come non ci fosse un domani. Il tutto con un inesausto Stoltemberg che tesse trama ed ordito.
Eccoci a NATO e Stati Uniti, non “cause” ma certamente ora, per conseguenza, “effetti” degli sviluppi del conflitto nella loro decisiva veste di arbitri per procura conferita loro da un’UE che pare risoluta e decisiva quanto lo è stata a Lugano, là dove la storia dirà, un giorno, se la Conferenza e la sua Dichiarazione sono da considerarsi un inizio o una fine.
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