Un giallo fra gli scaffali e sotto il lucernario della biblioteca dei frati
È da poco in libreria il romanzo “Battaglie d’amore in sogno” di Giovanna Lepori, edito da Dadò
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È da poco in libreria il romanzo “Battaglie d’amore in sogno” di Giovanna Lepori, edito da Dadò
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È da poco in libreria il romanzo “Battaglie d’amore in sogno” di Giovanna Lepori, edito da Dadò
Romanzo breve e a tinte gialle, “Battaglie d’amore in sogno” è l’opera d’esordio di Giovanna Lepori, nata a Bellinzona nel 1966 e da quasi tre decenni insegnante di matematica nella scuola media. Del libro, pubblicato dall’editore Dadò, proponiamo qui, per gentile concessione, l’introduzione firmata da Pietro Montorfani, particolarmente “implicato” nell’ambientazione del racconto per il fatto di essere oggi il direttore del “luogo del delitto”, la Biblioteca Salita dei frati di Lugano. (red.)
La lettura di questo dotto e piacevole giallo di Giovanna Lepori (piacevole anche perché dotto) non ha mancato di strappare in chi scrive un sorriso di complicità. Quando l’autrice concepì infatti la propria storia, ambientandola alla Biblioteca Salita dei Frati di Lugano, la gloriosa istituzione era ancora saldamente nelle mani di una responsabile che da trent’anni ne reggeva le sorti con rigore e competenza. L’immagine di un protagonista maschile era stata perciò dettata da una volontà di discrezione e scarto dalla norma, anche se tale scelta aveva imposto, di rimando, la perdita di una figura femminile in posizione apicale: un tema, come si vedrà dalla lettura del libro, caro all’autrice, e ancora troppo poco sentito invece dalla società contemporanea.
Gli avvicendamenti intervenuti negli scorsi mesi alla Salita dei Frati sono giunti, tra il serio e il faceto, a rompere le cosiddette uova nel paniere. Il meno che si potesse fare allora è ricambiare il “danno” con queste poche righe di prefazione.
Al di là del preambolo autoironico, che ha il solo scopo di scoraggiare qualunque ricerca di sovrapposizioni tra Raffaele Solari e chi scrive, le vicende dipanate in queste pagine nascono da un’intuizione insieme brillante e generosa: ricordare la figura di Padre Giovanni Pozzi a venti anni dalla scomparsa (2002) e a cento dalla nascita (1923) mettendo in scena un piccolo thriller ispirato a uno dei suoi cantieri di ricerca più noti, quello attorno all’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna.
Il racconto delle «battaglie d’amore in sogno di Polifilo» è stato giustamente definito uno dei più bei libri mai stampati da mano d’uomo, sin dal suo primo apparire a Venezia, nell’officina di Aldo Manuzio, nel 1499. La tecnica tipografica era ancora agli albori – per convenzione la si vuole nata nel 1455, in coincidenza con la celebre Bibbia di Johannes Gutenberg – ma in pochi decenni era già riuscita a cambiare radicalmente le modalità di produzione e fruizione dei libri, anche di quelli illustrati, di cui il Polifilo è forse l’oggetto più affascinante e rappresentativo. Un testo e un apparato iconografico non raggiungibili «attraverso strade carrozzabili», come era solito ripetere Padre Pozzi, bensì soltanto «muniti di corde e chiodi», i metaforici strumenti del mestiere (cultura, filologia, erudizione, competenze archivistiche) per mezzo dei quali poter scalare quella «parete letteraria di sesto grado».
Corde e chiodi, certo non per nulla, stanno al centro dell’immagine attorno a cui ruota la trama del libro, che ha il merito di riportare sotto gli occhi dei lettori uno spazio – la biblioteca ipogea disegnata dall’architetto Mario Botta alla fine degli anni Settanta, con il suo caratteristico lucernario – aperto oramai da quattro decenni alla conservazione, alla divulgazione e allo studio dei libri antichi, grazie all’iniziativa dei Cappuccini luganesi e di un’Associazione che ne ha ereditato con slancio la gestione della libreria conventuale. Che tale spazio, affascinante di per sé, potesse diventare il teatro di un “dramma” è un esito che appare scontato soltanto a cose fatte; in mezzo era necessaria la fantasia dell’autrice, capace di immaginare un intreccio in cui tutto si tiene: l’essenza stessa del luogo e la figura carismatica di Padre Pozzi, il libro più misterioso del Rinascimento e la placida realtà della Svizzera italiana, che da qualche tempo sappiamo essere piuttosto ricettiva alle armoniche della letteratura poliziesca. Poi certo, se penso al lavoro quotidiano in biblioteca, alle piccole o grandi responsabilità che questo necessariamente comporta, posso soltanto augurarmi che certe cose continuino a succedere soltanto nei libri…
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