Principesse al risparmio
A proposito di una pubblicità, delle donne e della società cui aspiriamo
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A proposito di una pubblicità, delle donne e della società cui aspiriamo
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A proposito di una pubblicità, delle donne e della società cui aspiriamo
Un messaggio che ci raggiunge ripetutamente, per di più a caratteri cubitali, finisce quasi inevitabilmente per colpire la nostra sensibilità, magari anche più del dovuto. Forse per questo, avverto il bisogno insopprimibile di condividere una riflessione suscitata in me dalla frustrazione di ritrovarmi confrontata, una mattina dopo l’altra, con un cartellone pubblicitario affisso alla fermata del bus sotto casa, a Lugano. Una popolarissima cooperativa di supermercati promuove un prodotto alimentare a prezzo ribassato: giganteggia una confezione di piselli in scatola, accompagnata dalla scritta “Per le principesse del risparmio”.
Ciascuno è libero di avere la sua opinione sulle principesse, reali o fittizie. Per quanto mi riguarda, mi tocca ammettere di avere un debole per le altezze reali in carne ed ossa, e una latente simpatia, mai venuta meno con gli anni, per le protagoniste delle fiabe d’altri tempi. Comunque la si pensi in proposito, credo però si possa convenire tutti quanti che la principessa sul pisello non sia mai stata un mostro di simpatia o un modello cui aspirare. Quando il problema è un legume sotterrato da una stratificazione di materassi, dubito si riesca a suscitare particolare empatia.
L’inferenza della pubblicità in questione sembra confermarlo: la vita reale non è popolata di principesse sul pisello. Le donne vere non sono, o meglio non possono permettersi di essere principesse sul pisello… Già, ma che cosa subentra all’immaginario stereotipo, elitario e fuori tempo massimo della principessa sul pisello? Ebbene sì, la principessa del risparmio. La massaia felice cui è concesso sentirsi una principessa ogni volta che, con le sue doti primordiali di cacciatrice armata di solo carrello, riesce ad accaparrarsi un barattolo di latta in offerta sullo scaffale delle conserve, magari soffiandolo a quella brutta strega della vicina di casa. Son soddisfazioni, ragazze.
Non fraintendiamoci: il compito di provvedere ai bisogni di una famiglia, affidato ad una donna-moglie-madre o a qualsiasi altro membro del nucleo, è tra i più nobili che esistano. E l’oculatezza nella gestione delle spese, a partire dalle più quotidiane, è una dote che merita rispetto e mai derisione. Quel che induce alla derisione, o peggio, è il tentativo di attirare l’attenzione delle donne e di stuzzicarne l’ambizione ricorrendo alla declinazione più basica del solito ideale della principessa (dolce, saggia e dotata di inestimabili bollini-premio), per di più tristemente ridotto all’ampiezza di orizzonte di un barattolo di piselli.
Consiglio non richiesto ai pubblicitari: se con ‘principessa’ intendete suggerire il massimo della realizzazione che ci si prospetti… beh, credo che nessuna si senta una principessa quando compra verdure in scatola, qualunque sia stata la sua scelta di vita, dal lavoro casalingo alla direzione del CERN. Il ruolo di una donna – qualsiasi percorso personale, familiare o professionale abbia intrapreso – è talmente ricco e sfaccettato da non consentire simili, maldestri tentativi di riduzione formato-lattina, per quanto ironici o apparentemente innocui.
Se proprio si vuole restare fedeli alle metafore regali, non sarebbe più appagante, lasciando decadere il titolo di principesse consorti del risparmio, valorizzare delle regine in carica, parte attiva di una società davvero capace di riconoscere la dignità delle mansioni domestiche e di assicurare alle donne condizioni di accesso favorevoli al mondo del lavoro? Una realtà in cui le donne non siano celebrate perché sanno sfruttare gli sconti, ma perché hanno l’indipendenza e il potere di acquisto per comprarli a prezzo pieno, questi piselli?
Si obietterà che non grava sui pubblicitari la responsabilità di riformare la società. Vero. Eppure, continuo a pensare che chi lavora di fantasia abbia il compito di immaginare un mondo migliore, e di aiutare gli altri a concepirlo come possibile. Se qualcosa si può immaginare, è verosimile che prima o poi si potrà realizzare. A questo proposito, mi concederò un’ultima confessione squisitamente personale. Il malaugurato cartellone mi disturba tanto, perché me lo ritrovo davanti agli occhi, ogni mattina, mentre accompagno a scuola le mie bambine. E io non le accompagno a scuola perché immaginino di diventare principesse sul pisello o del risparmio. Le “principesse” non si risparmiano, a scuola, a casa, sul posto di lavoro. Non giochiamo al ribasso con le loro aspirazioni.
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