Un mondo dell’informazione senza giornali (e giornalisti)?
Incontro pubblico a Lugano con Pietro Supino. Interrogativi e preoccupazioni sulla crisi dei media ticinesi e nazionali, con i relativi rischi per la democrazia - Di Alessandro Zanoli
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Incontro pubblico a Lugano con Pietro Supino. Interrogativi e preoccupazioni sulla crisi dei media ticinesi e nazionali, con i relativi rischi per la democrazia - Di Alessandro Zanoli
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Incontro pubblico a Lugano con Pietro Supino. Interrogativi e preoccupazioni sulla crisi dei media ticinesi e nazionali, con i relativi rischi per la democrazia - Di Alessandro Zanoli
È alla guida del più importante polo editoriale svizzero, il TX-Group: l’ex Tamedia, partita dal Tages Anzeiger, e oggi colosso del mercato dei media nazionali, grazie soprattutto a una serie di acquisizione e concentrazione di numerose testate. Operazione che ha fatto molto discutere, e sollevato polemiche e preoccupati interrogativi. Ma nei giorni scorsi, Pietro Supino, protagonista di un dibattito organizzato a Lugano dalla fondazione Möbius, non era certo un ospite preoccupato. Accattivante, calma olimpica, italiano fluente date le sue origini (nella Confederazione arrivò ragazzo), pronto a replicare tranquillamente anche alle domande più urticanti, ma alla bisogna elusivo quanto bastava. Anche sornione, come quando praticamente alla fine dell’incontro arriva la domanda più dolente e problematica: “Mi chiedete soltanto ora, negli ultimi tre minuti, dell’intelligenza artificiale e delle relative insidie per il nostro comune futuro, mentre quando partecipo a dibattiti oltre Gottardo vogliono praticamente dibattere solo di questa novità, e di come intendiamo usarla noi di TX-Group”.
Gentile e sottinteso riferimento a un Ticino “sonderfall”, anche in questo caso. Certo la realtà nel settore dell’informazione del nostro cantone è specifica, storicamente diversa, anomala senza dubbio, e lo è stata ancora di più in passato. Alessio Petralli, padrone di casa in quanto organizzatore dell’incontro, ha ricordato i bei tempi in cui nel Cantone esistevano ben sei quotidiani. Un unicum mondiale per un fazzoletto di terra e pochi abitanti. Oggi di quotidiani ne contiamo “solo” tre, in un bacino di lettori di quasi 400’000 persone. Nemmeno male statisticamente e in percentuale rispetto alla popolazione, tenuto conto anche di radio-tv pubblica e privata, nonché di settimanali e riviste e on-line di ogni tipo. Eppure per gli editori e i giornalisti locali non sono affatto giorni tranquilli. Morde forte la crisi della pubblicità in continuo calo, così come il numero di lettori e abbonati al cartaceo, parzialmente assorbiti da una testata gratuita e “soprattutto da un’offerta alternativa sovrabbondante” che a giudizio dell’ospite – “è una delle cause più importanti, e ormai ineludibile, dei nostri grattacapi”.
Non si sa dove andare, non si sa cosa fare. Nel momento delle domande rivolte dal pubblico, la perplessità di alcuni dirigenti del settore editoriale presenti in prima fila all’incontro era palpabile, così come quella dei giornalisti, seduti in ultima fila. Dirigenza e manodopera del settore dell’informazione sembravano attendere da Supino, in qualità di grande attore del mercato mediatico, la parola risolutiva. Come rimediare al calo dei lettori, inesorabile? chiedevano gli uni. Come tutelare una professione in evidente difficoltà, che ha perso prestigio, grado di retribuzione e, in prospettiva, posti di lavoro proprio a causa dell’automazione AI? chiedevano gli altri.
Supino, occorre ammettere, lo è un bravissimo slalomista. Capace di dare ragione a tutti in prima battuta, ma poi proseguire inesorabilmente mettendo in chiaro che là fuori, la realtà dei media risponde a logiche che sono ormai lontane da quelle tradizionali, quelle che editori e giornalisti (soprattutto in questo Cantone) sembrano voler a tutti i costi preservare. Crisi dell’editoria? Ma il momento storico è appunto di quelli in cui c’è un fiorire di richiesta e di offerta di informazione come mai nella storia. Difficoltà per i giornalisti? Ma lo spazio per esercitare la professione esiste e si è arricchito di nuovi strumenti che vanno padroneggiati. Certo, bisogna adottare nuovi modelli e prevedere nuovi scenari. Altrimenti sì, sarebbe la fine.
Parlando della carta stampata Supino è estremamente chiaro: già oggi le industrie del settore non producono più rotative, stanno abbandonando sperimentazione e ricerca per applicazioni tecnologiche e informatiche dei macchinari. Investono in altri comparti. Questo significa che tra una decina d’anni (non trenta: dieci) non sarà più possibile gestire i processi di stampa dei giornali come succede oggi. Bisognerà trovare un’alternativa per continuare a stampare, bisognerà investire, ci sarà comunque una inevitabile riduzione e concentrazione dei centri tipografici. E d’altro canto le spese di spedizione dei giornali diventano proibitive a fronte della riduzione degli introiti dei giornali, e dei prezzi sempre più proibitivi, come è successo di recente per la carta. Assicura il relatore: non che il cartaceo sparirà del tutto, ma si tratterà di giornali di poche pagine. Sempre che non abbiano ragione altri studiosi del mercato dei media, che alle versione scritta dei giornali danno soltanto un’altra decina di anni di vita. Loro del TX-Group, sistemati nel moderno palazzone di Zurigo, sono comunque già pronti. Ora tocca a noi. Il futuro dell’informazione è soprattutto sul web.
Per quello che riguarda i giornalisti, Pietro Supino è affabilmente concreto: i giornalisti di oggi sono bravissimi, preparati e entusiasti nell’esercitare la professione più bella del mondo. Dovrebbero avere un salario giusto (ma intanto in Ticino e nella Svizzera tedesca sono senza contratto collettivo da quasi…trent’anni). Devono però muoversi all’interno di giornali in cui sia garantita una pluralità di opinioni. L’esperienza di successo di quotidiani come il “Tages Anzeiger”, ma anche di testate locali, mostra che il giornale deve offrire punti di vista diversi, per sollecitare il lettore a scegliere i propri. Detto così sembra bellissimo. In un altro senso potrebbe voler dire che le testate sono destinate a perdere personalità e incisività. A diventare pastoni buoni per tutti i palati. Sempre più uguali. Come già fa temere il processo di concentrazione editoriale: grandi gruppi che si sono comprati molti giornali cittadini o periferici in difficoltà, poi creando una redazione centrale per tutte le notizie svizzere, e piccole redazioni locali per la cronaca di prossimità. È il prezzo della razionalizzazione economica, nonché della possibilità di realizzare veri approfondimenti e inchieste giornalistiche sempre assai costose.
A proposito del conflitto aperto tra servizio pubblico e media privati (tema sollecitato da alcuni presenti e su cui si è aperto persino un siparietto polemico tutto nostrano a proposito della questione dei diritti TV sull’hockey ticinese) Supino è stato netto: il servizio pubblico (quindi la SSR) deve produrre unicamente ciò che i privati non possono permettersi di realizzare. Quindi occorre prioritariamente aprire un tavolo di discussione in cui definire reciproci ruoli e competenze e poi definire la ripartizione dei costi. Non si è sbilanciato personalmente sulla prossima votazione detta dei “200 franchi (di canone) bastano”. Ed ha negato che vi siano stati diversi incontri fra vertici SSR e rappresentanti degli editori per raggiungere compromessi in favore dei secondi: confronto che gli editori avrebbero interrotto quando la raccolta di firme ha dato la certezza che la votazione ci sarà. Ma, in mancanza di studi relativi, chi può dare per certo che un fortissimo ridimensionamento del servizio pubblico favorirà la stampa indipendente, ed è sicuro che vi sia un nesso fra difficoltà della stampa svizzera e presenza della SSR nella sua dimensione attuale? “E’ una certezza dettata dalla logica”, la risposta di Supino, “avremmo logicamente più entrate”. Poco rassicurante. Questa l’impressione lasciata all’uditorio: un super-manager disponibile all’ascolto ma ormai da tempo calato in un ruolo che non è più di dirigente di un’impresa a sfondo culturale come quella di un gruppo editoriale, ma è il ruolo del dirigente d’azienda, puro e semplice. Tx-Group del resto non è solo editore ma anche proprietario di siti web commerciali e partner di start up legate all’uso dell’intelligenza artificiale e della robotica. Soprattutto preoccupato, insomma, di far quadrare il bilancio, più precisamente di replicare bilancio in attivo e ottimi utili, e così distribuire il dovuto agli azionisti.
Resta da spiegare questa impressione di spaesamento del pubblico, questo disorientamento tutto ticinese di fronte a un’evoluzione che del resto si dava per scontata da anni. È come se si facesse fatica ad accettare la “logica del clic”, che guida da tempo il mondo dell’informazione globale. Rassegniamoci. Il successo di una testata digitale si vede dal seguito che riesce a suscitare. E il seguito è misurato implacabilmente dai clic dell’utente. Tanto che il rischio oggettivo è che la rincorsa ai clic condizioni il formato e i contenuti dell’informazione stessa. Il seguito del pubblico, in altre parole, condiziona la personalità della testata. Non come una volta, quando la linea editoriale era decisa dalla personalità del direttore o del caporedattore. L’abilità dell’editore oggi starebbe perciò nel saper equilibrare “tentazioni pop” e senso etico del proprio ruolo di produttore e mediatore dell’informazione.
Insomma l’incontro di Lugano con Pietro Supino è servito, crediamo, “a darci una scossa”. Anche drammatica per certi versi. L’impressione è stata che là fuori ci sia qualcuno che sta guardando l’orizzonte con un grande binocolo e si prepari per evitare l’iceberg. Dobbiamo chiedercelo: qui da noi stiamo veleggiando nella nebbia con la speranza che domani torni il bel tempo? E se il mutamento di rotta è in corso, ci stiamo attrezzando per nuovi scenari forse troppo lentamente? A editori e giornalisti è richiesto un cambiamento di mentalità: il punto è che oggi sembra difficile che le necessità degli uni e degli altri convergano. Dovrà succedere, certo, e questo richiede ad entrambi un grande lavoro di armonizzazione delle aspettative. Il rischio è che, in caso contrario, la parola passi davvero e perigliosamente all’intelligenza artificiale
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