Un secolo in colonia
I cento anni delle Colonie dei Sindacati raccontano molto della nostra storia e ancora molto hanno da dare per una convivenza armoniosa e aperta all’apprendimento, al coinvolgimento e alla tolleranza - Di Dario “Mec” Bernasconi
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I cento anni delle Colonie dei Sindacati raccontano molto della nostra storia e ancora molto hanno da dare per una convivenza armoniosa e aperta all’apprendimento, al coinvolgimento e alla tolleranza - Di Dario “Mec” Bernasconi
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I cento anni delle Colonie dei Sindacati raccontano molto della nostra storia e ancora molto hanno da dare per una convivenza armoniosa e aperta all’apprendimento, al coinvolgimento e alla tolleranza - Di Dario “Mec” Bernasconi
Tutto ha inizio nel 1923, poco dopo il primo conflitto mondiale e la Rivoluzione russa: la loro creazione e istituzione dà subito la possibilità ai figli delle classi più povere di poter godere di un mese di “colonia climatica”, come era definita, per vivere momenti particolari, distaccati dal contesto di una lenta e faticosa rinascita economica.
Poi son arrivate la seconda guerra mondiale e la Guerra Fredda a stravolgere spazi, menti e dinamiche sociali, ma le colonie sono rimaste ancora d’appoggio ai figli della classe operaia che si voleva, nel frattempo, in “evoluzione”. Qui da noi, almeno, è stato così, mentre in altri paesi, come in Italia, le colonie sono state un mezzo di propaganda fascista per tutti gli anni Trenta, in simbiosi con i grandi gruppi industriali che mandavano i figli degli operai soprattutto al mare.
Nel secondo dopoguerra, diciamo a partire dagli anni Cinquanta, le colonie tornano in grande spolvero a soddisfare le esigenze di molte famiglie, se si pensa che a Rodi, dalle poche decine iniziali, si arriva ad avere oltre 450 ospiti per ognuno dei due turni, distribuiti su tre case e alle quali sarà aggiunta Casina negli anni Sessanta, altro periodo di grande afflusso. Siamo in pieno “boom” economico, ma con le classi lavoratrici bisognose di avere uno “sfogo” estivo per i propri figli: a questo sono servite, per tanto tempo, le colonie estive.
Dopo la metà degli anni Sessanta, sul piano numerico c’è poi stato un calo di iscrizioni ma, per contro, è iniziata una crescita esponenziale sul piano educativo, perché le nuove teorie pedagogiche, il mutato clima sociale, le rivendicazioni del ’68, le maggiori aperture mentali e anche dei modelli scolastici, le influenze degli altri paesi più evoluti in materia educativa e, diciamolo, anche i CEMEA (Centri d’Esercitazione ai Metodi di Educazione Attiva), hanno portato ad un vero e proprio stravolgimento delle dinamiche educative.
Negli anni Settanta si avviano molti cambiamenti nella gestione dei gruppi, delle attività ma, soprattutto, nel coinvolgimento degli utenti in tutto quanto era relativo all’esperienza della colonia: dalla sveglia e dalla siesta libere, all’introduzione di coordinatori, alla gestione delle attività, all’abolizione delle giornate dei genitori, alla gestione condivisa delle serate e altro ancora. Con il bambino e la bambina al centro dei progetti. E, se un tempo la minaccia più o meno velata “se non fai il bravo ti mando in colonia” aveva effetto deterrente, con le numerose innovazioni didattiche e pedagogiche sperimentate la colonia è riuscita a proporsi come un momento educativo non solo importante ma anche vissuto con piacere dagli utenti.
Se il loro numero diminuisce a fine anni Settanta è perché si assiste alla crescita molto elevata di colonie riconosciute e sussidiate dallo Stato con la Legge sulle Colonie del ’73. Comuni, parrocchie, scout, gruppi di famiglie (come l’ATGABBES) e gruppi di volontari organizzano turni di colonia, a volte “interpretando” un po’ il termine, perché la vera colonia richiedeva una residenza di almeno 18 giorni e pochi la osservavano. Però, con le mutate esigenze delle famiglie e quindi della società e con le maggiori disponibilità finanziarie, la scelta della colonia rimane attuale, soprattutto nella forma ridotta a 15 giorni. E a Rodi ci si è adeguati negli anni Ottanta. Sempre con due turni, Rodi continua ad ospitare, ogni estate, numerosi ragazzi, con proposte didattiche e di svago in continua evoluzione educativa e al passo coi tempi.
Se questa, in estrema sintesi, è la cronistoria di un movimento centenario nato da esigenze vere e sentite, ci si chiede se oggi le colonie sono ancora attuali e se soddisfano i bisogni dei bimbi e degli adolescenti.
Io sono convinto di sì, perché la colonia è un fattore di crescita sia per chi la vive sia per chi la gestisce. Il bambino (vale anche per le bambine, ovviamente) che va in colonia impara un mare di cose a cominciare dalla capacità di autogestirsi: prima magari con l’aiuto della monitrice (vale anche per i monitori, sempre ovviamente), è lui che sceglie quali vestiti mettersi, cosa fare coi compagni, quando e come e, soprattutto, perché. Impara il rispetto, per esempio alzandosi per la colazione libera senza svegliare l’amico che dorme ancora, capisce che non deve lavarsi le mani dopo ogni partita a dama che fa con il compagno eritreo durante la siesta libera, cosa che la mamma gli … “consiglierebbe”.
Impara a condividere spazi, come la camera, che vanno tenuti in ordine perché vissuti con altri, a osservare gli orari come segno di rispetto per chi aspetta. Impara ad avere pazienza con i più deboli che fan parte della sua squadra in una caccia al tesoro, conosce persone che possono provenire da ogni parte del mondo e che gli insegnano cose nuove, impara la tolleranza per chi è diverso. In colonia si può addirittura apprendere (con piacere) a convivere in maniera decente con i cellulari, ci si rende conto che si possono passare tante ore senza accenderlo e che il vissuto è magari anche più divertente e allegro.
Il tutto in un ambiente che non è certo quello della famiglia e nemmeno quello della scuola, dove certe scelte sono obbligate, altre imposte, altre ancora senza un perché. La colonia è un mondo educativo utile alla crescita dell’individuo perché si è “liberi” 24 ore su 24, pur nelle regole della comune convivenza. Si dirà che anche la scuola e la famiglia hanno queste prerogative, ed è vero, ma la base dell’autogestione riveste un fattore di crescita notevole per lo sviluppo della personalità e delle relazioni con gli altri.
Se la colonia è questo e certamente altro ancora per gli ospiti, è formativa anche sul piano della crescita per il personale educativo e di servizio. Credo che qualche turno di colonia sia un aiuto, soprattutto per chi vuole entrare nell’insegnamento, molto più completo della marea di lezioni, per lo più teoriche, di certe scuole pedagogiche. In colonia s’impara a gestire i bambini e le bambine nelle dinamiche più disparate, dai sei ai quattordici anni, e sull’arco dell’intera giornata. Si fanno tante attività molto diverse fra loro, senza che gli utenti debbano essere torchiati, vivisezionati e valutati sulle competenze raggiunte. E si possono fare le scelte più opportune e mirate a scopi educativi e di socializzazione senza unità didattiche a limitarne spazi e tempi. Riconoscere l’importanza delle colonie come “palestra” di apprendimento educativo e per imparare a gestire emozioni, problematiche, felicità e anche dolore: sono aspetti cruciali per la formazione dei giovani, evidenziati opportunamente anche durante i festeggiamenti degli scorsi giorni.
Credo che le colonie dovrebbero opportunamente essere ri-considerate dalle famiglie come un’attività estiva di qualità. Il distacco di quindici giorni dal proprio ambiente per vivere un’esperienza diversa in un contesto educativo fatto anche di giochi e spensieratezza è un importante fattore di crescita per la personalità dell’individuo. Oggi si fanno tanti discorsi teorici su molte tematiche educative, e giustamente direi, ma sono certo che un’esperienza in colonia sia un complemento di grande importanza per imparare a stare con gli altri, a rispettare le loro idee, ad accettare quanto c’è di diverso, evitando i pregiudizi: il tutto con la convinzione che sia giusto farlo. Però sempre esponendo le proprie idee ed acquisendo anche il coraggio di esprimerle senza la paura degli altri e dei loro pregiudizi, perché la maggioranza silenziosa non produce frutti.
Avere in futuro una generazione che riesca a raggiungere questi obiettivi sarebbe un toccasana per una società che si vorrebbe più responsabilmente partecipe, capace di coltivare una convivenza armoniosa e aperta all’apprendimento, al coinvolgimento e alla tolleranza.
Nell’immagine: un momento di vita in colonia
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