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Redazione
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Quella voglia di pace mal riposta nella...
• 5 Luglio 2022 – Redazione
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Non è una novità, utilizzare la guerra a fini di pace. 

Le ricordiamo tutti le “missioni di pace” armate e gestite da militari negli ultimi decenni. Le effimere Nazioni Unite, il gremio del nulla, l’apoteosi della burocrazia/politica che assieme alla NATO si ergono a paladini del mondo e dell’umanità, ancora una volta, dimostrano i loro limiti con la non gestione della guerra in Ucraina. Lo sappiamo e lo vediamo perché è la guerra più mediatizzata della Storia, che ci fa dimenticare tutte le altre…

L’inconsistenza di queste istituzioni, ci costringe a tornare a riflettere sulla preponderante voglia di guerra, o meglio sulla convinzione di voler raggiungere la pace attraverso la reiterazione di conflitti armati. Una volta c’erano i caschi blu, un timido tentativo di rendere degli eserciti delle forze non belligeranti, a fare da cuscinetto tra le forze in conflitto. Poco armati e poco presenti, quasi sempre passivi. Poi, certo, vi sono stati episodi tremendi, come il massacro di Srebrenica, compiuto sotto gli occhi inermi di soldati dell’UNPROFOR olandesi. Eppure, qua e là, qualche risultato lo hanno ottenuto. Il perché queste forze di “pace” non siano state implementate è abbastanza evidente: gli interessi di Stati come gli USA o della NATO prevalgono. Forse, un nodo della questione è la contraddizione tra la componente umanitaria, necessaria per una risoluzione pacifica di un conflitto, con l’aspetto militare, coercitivo che viene immediatamente impiegato a naturale risposta “difensiva” nei confronti di un attacco.

Nel conflitto recente dei Balcani di risoluzioni e conferenze per risolvere il conflitto etnico ce ne sono state a decine se non centinaia e la politica ebbe ragione sul conflitto troppo tardi, e forse ancora non ce l’ha. Negli ultimi decenni abbiamo però soprattutto assistito alla delega incondizionata concessa agli Stati Uniti perché possano fungere da poliziotti del mondo: un altro concetto arbitrario che le istituzioni sopracitate hanno sdoganato. 

La scusa di “esportare la democrazia” è una dei leitmotiv più gettonati. Già, esportatori di giustizia e democrazia “à la carte”, solo dove a loro conviene e possono avere un tornaconto. 

Lo so, le mie sono solo considerazioni generali e forse generiche, non ho la presunzione di saper indagare i veri meccanismi per cui tra USA, NATO, G (7,8…) ONU e comunità Europea, sia tutto un parlarsi e diffondere dichiarazioni, risoluzioni, sanzioni ecc. Di fatto, dietro a queste ripetute apparizioni mediatiche, non possiamo non leggere una serie di profonde divergenze ed una chiara contraddizione: si parla tanto di pace e poi si inviano armi, da quelle “leggere” a quelle pesanti fino a ipotizzare armi tattiche nucleari. Tutti lanciano l’allarme per un possibile conflitto mondiale, eppure lo strumento per eccellenza, la diplomazia, la ricerca di una trattativa, è per ora assolutamente inutilizzato.

 

Certo, per noi comuni cittadini, è difficile capire come si muovano la politica e la diplomazia, anche seguendo la pioggia di notizie che ci viene offerta ad ogni ora del giorno e della notte.

Quello che colpisce, però, è l’inconsistenza di azioni di piazza, di manifestazioni a livello mondiale, da parte del fronte pacifista, qualcosa di analogo a quanto avevamo vissuto per esempio nella prima guerra in Iraq. Sì, qua e là, assistiamo a sporadiche azioni, ma un vero movimento di massa come ai tempi dei no-global che sia attivo e capace di influenzare la politica sembra proprio non esistere.

Se pensiamo a quanto avviene nel nostro Paese, per esempio, quel che si sta verificando è che la paura della guerra o meglio di un possibile allargamento del conflitto, fa sì che la raccolta di firme contro l’acquisto di aerei da combattimento (assolutamente sovradimensionati) si sia fermata perché si è instillata la convinzione che, di questi tempi, dobbiamo anzitutto difenderci, badare alla nostra sicurezza. 

La realtà di questi mesi di guerra, fra i suoi vari effetti, ha dunque anche quello di fare il gioco delle lobby delle armi, di alimentari l’industria bellica. C’è sempre chi ci guadagna da una guerra. Ognuna è pretestuosa e camuffata da “nobili” cause, ma il fine ultimo è prevaricare, guadagnare, conquistare, che siano territori ricchi di materie prime o rare, di enormi spazi agricoli, di luoghi strategici e vie di comunicazione ecc. Un guadagno che porta sempre denaro e potere accresciuti a pochi, e a discapito di tutti.

Parliamo di pace e di sicurezza e ogni volta vediamo contrapporsi delle forze armate! Se i cittadini scendessero in piazza, state pur certi che verranno schierate le forze dell’ordine. A Lugano è risaputo che la polizia ha come seconda pelle l’equipaggiamento anti sommossa. Sempre a Lugano, ci si ritrova in questi giorni in una situazione di altissima tensione, con una città praticamente blindata perché il Presidente della Confederazione si è inventato un evento che avrebbe voluto fosse al centro del mondo mentre sarà tutt’al più una parata di personalità varie che sanno benissimo come vadano a finire le cose; sanno che le vere decisioni, quando sarà il momento, verranno prese altrove. Ma ancora una volta, prevarrà l’impiego di militari per parlare di pace o addirittura di ricostruzione ovvero quello che più che mai dovrebbe essere di competenza civile.

Mi è comunque anche abbastanza chiaro che per quanto si possa e si debba continuare a ribadire la legittimità di una posizione “pacifista”, è davvero difficile non sentirsi confusi e smarriti, dentro la sinistra, quando se ne vedono manifestazioni di totale ambiguità, come quelle che portano a giustificare, in nome della pace ( e di una pregiudiziale anti-americana) personaggi come Putin o Xi Jinping, oppure ad evocare strumentalmente (replicando acriticamente le tesi assurde del Cremlino) il tema della “denazificazione” dell’Ucraina. È vero c’è o c’era un battaglione Azov impregnato di nazismo, a cui pure lo scorso primo maggio a Bellinzona si è inneggiato come nucleo della resistenza ucraina.  Ma come possono essere causa di una guerra poco più di tremila persone?

Difficile pensare alla pace in un contesto tanto confuso, teso, pieno di contraddizioni, di paure, angosce. La tentazione, forte, è quella di chiudersi a riccio, non voler più sapere nulla, fra disperazione e rassegnazione. Eppure, la pace, quella che tutti dicono di volere e di voler perseguire vorrà pure arrivare, un giorno. E certamente sarà solo quando si sarà abbandonata la logica delle armi.  






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