I dati del programma Copernicus indicano che il 17 e il 18 novembre sono stati i primi giorni nella storia in cui la temperatura media globale
ha superato i 2°C rispetto ai livelli preindustriali (1850-1900). Il 2023 si concluderà come l’anno più caldo a livello globale da quando si misura. Questo è probabilmente il decennio più caldo che la Terra abbia vissuto in circa 125.000 anni. L’attuale concentrazione di CO2 nell’atmosfera di 419 ppm è molto probabilmente la più alta degli ultimi 14 milioni di anni. L’aumento del 50% della concentrazione di CO2 nell’atmosfera in poco più di 100 anni dovuto all’uso dei combustibili fossili (90%) e alla modifica dell’uso del suolo (10%) rappresenta un picco di crescita estremamente ripido e assolutamente senza precedenti nella storia geologica recente del nostro pianeta. L’essere umano non è quindi mai stato sottoposto a delle concentrazioni di gas serra simili.
A fronte di un bollettino planetario allarmante come questo le aspettative riposte nella conferenza delle parti sul clima a Dubai (COP28) erano assai alte, anche considerato che le politiche climatiche in vigore o già decise a livello internazionale porterebbero ad un riscaldamento globale di 3 gradi (6 gradi in Svizzera) ben il triplo del riscaldamento globale già osservato e ben il doppio di quanto si vorrebbe ottenere con l’accordo di Parigi. Purtroppo come c’era d’attenderselo e come le altre conferenze che l’hanno preceduta, la COP28 non è stata all’altezza della posta in gioco per cui era stata indetta.
Il testo finale adottato non è l’accordo storico di cui il mondo ha bisogno. Nel testo finale non si trova la formulazione “eliminazione graduale” dei combustibili fossili che, se attuata in modo sostenibile, è quel che invece servirebbe per una giusta transizione energetica che abbandoni i combustibili fossili, in linea con la scienza e con l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale entro 1,5°C contenuto nell’accordo di Parigi. Pur rimanendo nel campo delle parole non vincolanti e solo su carta, la differenza tra «eliminazione graduale» e «diminuzione graduale» presente nel testo finale è sostanziale. Tuttavia l’accordo finale invita comunque i Paesi ad espandere massicciamente le energie rinnovabili (triplicarne la produzione) e l’efficienza energetica già in questo decennio. Questo è già qualcosa di rilevante, considerate le pessime premesse.
Più che un accordo determinante per la protezione del clima con tappe chiare e vincolanti, alla storia passeranno infatti la presenza record di lobbisti del petrolio (più che triplicati, erano oltre 2400), il tentativo della lobby nucleare e dei relativi paesi detentori della bomba atomica di ridare un ruolo alla pericolosa industria nucleare (in barba ai suoi proibitivi costi di produzione e ai suoi rischi) e le affermazioni imbarazzanti del presidente della conferenza il Sultan Al Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera Adnoc, che smentendo tutti i risultati scientifici ormai consolidati da decenni aveva gettato la maschera con la sua ormai famosa affermazione fatta all’ex presidente Irlandese “Nessuno scenario afferma che l’uscita dalle energie fossili ci permetterà di raggiungere l’obiettivo degli 1,5 gradi.” Insomma usando una metafora si volevano proteggere le galline mettendo le volpi nel pollaio.
Il risultato lascia i Paesi più poveri senza le risorse necessarie per realizzare la transizione verso le energie rinnovabili. I Paesi ricchi dovranno aumentare significativamente il loro sostegno finanziario e far pagare chi inquina producendo o estraendo combustibili fossili. Solo l’anno scorso l’industria dei combustibili fossili ha realizzato profitti per 4 mila miliardi di dollari e deve iniziare a pagare per i danni e per la distruzione che ha causato e continua a causare.
L’ostruzionismo dei principali paesi produttori di petrolio (Russia e Arabia Saudita in primis) accompagnato da una forte riluttanza da parte dei paesi occidentali storicamente responsabili della quantità maggiore di emissioni a sostenere i paesi poveri (Svizzera compresa, rappresentata dal consigliere federale Rösti che si è sicuramente trovato a suo agio tra i lobbisti petroliferi) e un certo attendismo dei paesi emergenti hanno quindi pesantemente influenzato la conferenza.
La finestra temporale utile per limitare il riscaldamento globale a 1.5 gradi si restringe sempre di più e un certo pessimismo sulle effettive possibilità di raggiungere questo obiettivo non può che farsi largo tra gli esperti. Per la comunità internazionale un’altra occasione mancata.
Matteo Buzzi è meteorologo e climatologo, e capogruppo in GC per i Verdi
Nell’immagine: il grafico dei dati di Copernicus: +2.07°C il 17 novembre scorso