Firenze, dicembre 2023. Negli ultimi anni in Italia hanno dovuto chiudere 2’300 librerie. Oggi ne restano circa 3’500. Le mutate modalità di acquisto e di “consumo” (leggasi
online e
e-book) hanno dato una prima, importante spallata. Il COVID ha ulteriormente accentuato la moria degli spazi fisici in cui il libro era il solo prodotto venduto. Pure le cosiddette cartolibrerie e le superfici in cui convivono libri, giornali, caffetterie e tanto altro non se la passano benissimo.
Anche una storica capitale culturale italiana come Firenze non sta meglio. Tra le piaghe che il capoluogo toscano condivide con altre destinazioni turistiche (Venezia, Roma, più recentemente Napoli) c’è quella di Airbnb e consimili, gli appartamenti e le case che i proprietari preferiscono affittare per brevi soggiorni ai turisti che tenerseli per sé o locarli, a prezzi inferiori ma a lunga durata, alla popolazione residente o agli studenti universitari. Il sindaco uscente Nardella (che non si ripresenterà) ha vietato ogni nuovo affitto turistico, ma i ricorsi dei proprietari piovono – e la battaglia prosegue senza esclusione di colpi. Quanto i Tribunali decideranno avrà conseguenze sul piano nazionale.
Percorrere a piedi Firenze resta piacevolissimo, ma anche a metà dicembre le vie pedonalizzate del centro storico sono letteralmente invase da un turismo incolonnato e distratto che la città ciba con pizze, spaghetti alla… “bolognese”, sushi e kebab, prima che con i suoi tesori, davanti ai quali 3 visitatori su 5 si fermano per qualche secondo, si scattano un selfie e via di corsa, ice cream and a coke. Prima di chiedere, nella migliore delle ipotesi (giuro, ho un testimone) del Campanile 18.
Non domandate dunque a questi turisti mordi e fuggi cosa siano la ribollita, la fettunta, il castagnaccio. Il 1° dicembre il linguista Giuseppe Antonelli, aretino, titolare di una cattedra a Pavia, a tutto questo ha dedicato un sapido commento su 7, settimanale del Corriere della Sera, concentrandosi su un vocabolo – mangificio – non ancora entrato nei dizionari, utilizzato da almeno 15 anni per designare la trasformazione dei centri storici più prestigiosi e, in metafora, della preparazione e dei comportamenti dei moderni viaggiatori. Insomma, il mangificio di tutti si sovrappone quasi anagrammaticamente al Magnifico.
Eppure, proprio Firenze fa scrivere di sé anche per un segnale che sembrerebbe in controtendenza: il 4 novembre è stata aperta una nuova libreria, o meglio lo Spazio Giunti Odeon, in posizione che più centrale non si può e in un palazzo quattrocentesco (lo Strozzino) concepito da Brunelleschi, a pochi passi da due caffè storici che hanno segnato la cultura letteraria e artistica fiorentina del Novecento (Paszkowski, Gilli, Le Giubbe Rosse).
Fino alla sua chiusura, avvenuta nel 2022, l’Odeon era stato dapprima teatro, poi cinema. La sua inaugurazione risale al 1914: Firenze era quella di riviste storiche (La Voce, Lacerba) e di movimenti artistici d’avanguardia (Futurismo). Come per le librerie, anche per le sale cinematografiche prima home video e DVD, poi lo streaming TV hanno disseminato il campo di cadaveri. E così, per provare a salvare capra, cavoli e almeno parte dell’incasso, il nuovo Spazio Giunti Odeon è, nel contempo, libreria, caffè, ristorante, spazio espositivo e, solo la sera, anche cinema. Le 194 storiche poltroncine dorate sono state restaurate per l’occasione.
Ciononostante – in una città così vivace, battagliera, sanguigna – il fatto che dalle ceneri dell’Odeon sarebbe nato, in poco tempo, non un fastfood, un’hamburgeria o un kebab ma questo nuovo luogo d’aggregazione (1’500 mq) non è stata una consolazione ben digerita da tutti: anche se il restauro ha riportato alla luce elementi architettonici e decorativi quasi dimenticati, anche se è stato condotto in virtuosa sinergia dai proprietari della casa editrice Giunti e del vecchio Odeon, parte dell’opinione pubblica e della politica cittadina (che non ha mancato di raccogliere firme per provare a rallentare/fermare il progetto) vede nel nuovo luogo un ibrido nato più per far cassa che cultura e non è bastata, finora, la promessa che ogni sera alle 21, durante la proiezione del film, gli spazi riservati alla vendita restano chiusi. È stata la cosiddetta norma salva-cinema del Comune di Firenze – che costringe il proprietario di una sala che ne vuole cambiare la destinazione a mantenere un’attività cinematografica su almeno il 60% degli spazi – ad evitare la chiusura pura e semplice di questo luogo d’incontro e di aggregazione. Un bene? Un cedimento? Potremmo discuterne a lungo.
Intanto, ultima segnalazione fiorentina agli amici e amiche Naufraghi/e che dovessero arrivarci in treno: la Stazione di Santa Maria Novella, progettata da un team che faceva capo al grande architetto Giovanni Michelucci e inaugurata (insieme alla Biblioteca Nazionale Centrale) il 30 ottobre 1935, è un capolavoro della scuola razionalista. Anche in quell’occasione non mancarono le contrapposizioni, ma gli intellettuali che facevano capo al Caffè delle Giubbe Rosse (Vittorini, Bilenchi, Bonsanti), pur critici nei confronti del regime fascista, ne difesero il valore, di cui lo stesso Mussolini era pienamente convinto.
Scendendo dal convoglio, osservate l’alternarsi elegante – ma per nulla trionfalistico – di marmi e vetrate, appliques e boiseries, il design delle panchine e dei pilastri, i caratteri grafici di ogni scritta, l’orologio triangolare digitale che affaccia sulla piazza, il primo nel quale le cifre ruotano grazie a un meccanismo elettrico.
Come ad anticipare la vicenda dello Spazio Giunti Odeon, da 9 anni esatti, nell’atrio della Stazione – punto strategico di grande transito – è ospitata anche una libreria Feltrinelli (inutile sottolinearlo, con ampio spazio ristoro): alzate lo sguardo alla parete sopra la cassa, dove campeggiano due grandi e splendide tempere di Ottone Rosai, del 1935, restaurate prima della riapertura.
Nell’immagine: l’interno dello Spazio Giunti Odeon