Tanto per iniziare l’anno con qualche attenzione agli aspetti sociali della nostra beneamata democrazia. Gli economisti bene informati ci dicono che il fossato fra ricchi e poveri sta aumentando ed è ormai un baratro. Non tutti sono d’accordo sui rimedi. C’è chi sostiene che sarebbe opportuno che il capitalismo riconoscesse la necessità di bilanciare i profitti con politiche sociali e, all’opposto, c’è l’ultraliberista impenitente che sostiene, con disinvolte interpretazioni, che le imprese debbono puntare ai massimi profitti e pensare agli azionisti e non preoccuparsi di investire nelle politiche sociali perché “l’avidità è un bene” e porta benefici per tutti (e quindi avanti con la riduzione delle aliquote fiscali per i ricchi!) Mi guardo in giro e, forse perché troppo ignorante in materia per cogliere la complessità del ragionamento, confesso la mia perplessità: constato che, se fosse vero l’assunto liberista, qualcosa dovrebbe essere andato storto fino ad oggi e forse c’è parecchio da correggere.
Intanto le associazioni che si occupano dell’assistenza agli indigenti confermano. In Europa un quarto della popolazione è a rischio di esclusione sociale. Nel Ticino siamo lì: 80.000 persone – ¼ della popolazione – sono a rischio povertà. E i pensionati che non ce la fanno a tirare alla fine del mese sono in aumento. Insomma, possiamo disquisire all’infinito sulle responsabilità più o meno grandi del capitalismo liberista, ma un dato è certo: povertà e fame sono aumentati a dismisura anche da noi.
Nel “Rapporto sulle disuguaglianze nel mondo, 2018” (La Nave di Teseo, Milano, 2019), gli autori (un team di economisti di oltre 70 paesi) si dicono convinti che se il problema delle diseguaglianze non viene affrontato “può portare a catastrofi politiche, economiche e sociali”. E avvertono come questo fenomeno sta condizionando la vita di ogni cittadino e le sue aspettative per il futuro.
Ecco, ci siamo, il problema sta proprio qui: il futuro! È fuor di dubbio che il liberismo sfrenato di questi anni ha generato conseguenze devastanti, tanto da far pensare ai cittadini impoveriti che la liberaldemocrazia sia diventata un’oligarchia di fatto che rappresenta tanto gli interessi dei poteri economici e finanziari e poco o nulla quelli della collettività, e quindi non sia più in grado di offrire un futuro migliore.
Il risultato? La politica della destra liberista, smentendo l’assunto del benessere per tutti (i ricchi sempre più ricchi avrebbero provveduto a fare i poveri meno poveri), ha spalancato le porte alle destre populiste che proclamano ad alta voce di essere dalla parte dei disagiati, ma poi, alla prova dei fatti, mettono sul piatto alcune politiche che ai disagiati badano poco. Offrono paure e nemici al “popolo dei perdenti “perché servono a serrare le file e portano voti: il popolo (ma quale popolo?) per queste nuove destre illiberali (postfasciste, afasciste [che non prendono posizione nei confronti del fascismo, ndr], trumpiste, tradizionaliste regressive che siano) non è un fine ma uno strumento. E il rispetto dello stato di diritto non è fra gli obiettivi irrinunciabili.
Conclusione. Una cattiva politica economica può portare alla sfiducia nei confronti della democrazia liberale e a un cattivo governo della cosa pubblica. Che la destra neoliberista abbia contribuito a cancellare la prospettiva di un futuro migliore e a generare il drammatico scontento sociale che ha aperto la strada alle destre autoritarie e illiberali in molti paesi mi pare dimostrato dai fatti.
E il 2024 non lascia ben sperare.