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Lelio Demichelis
Lelio Demichelis
“Chi è dappertutto non è mai da nessuna...
• 3 Giugno 2022 – Lelio Demichelis
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Viviamo incurvati sullo schermo dello smartphone h24, ma questo non significa concentrarci su qualcosa o su noi stessi; siamo immersi in una realtà virtuale molto immersiva (persino aumentata), ma irreale e artificiale, che ci distrae dalla realtà reale, sociale e ambientale; e ci ritroviamo oggi del tutto incapaci di guardare avanti (di immaginare con la nostra immaginazione, accettando invece e sempre più l’immaginario industrializzato per noi dal sistema, un immaginario apparentemente sempre diverso e nuovo, in realtà sempre uguale e ripetitivo); e siamo incapaci (e usiamo ancora e volutamente questo sostantivo per segnalare il risultato della nostra estraneazione dalla realtà e da noi stessi), anche di alzare ad esempio gli occhi al cielo o di accogliere in noi, arricchendoci, la bellezza.

Se siamo diventati individui incapaci di tutto questo è perché non sappiamo resistere ai meccanismi di cattura della nostra psiche (fascinosi, emozionanti, coinvolgenti, oggi anche intelligenti), oltre che del nostro corpo e prodotti dal sistema per la nostra distrazione di massa (merci, gadget, social, serie televisive, video autoprodotti con milioni di follower, fake news, commenti compulsivi, conformismi digitali) – soprattutto se tecnologici; noi venendo trascinati “in uno spazio comunicativo e informativo dove messaggi e immagini si affermano attraverso la logica combinata dell’urgenza e dell’immediatezza […] reindirizzando in modo discontinuo la nostra attenzione”. Uno spazio dove crediamo di essere autonomi e liberi, ma non lo siamo.

Per imparare a provare a resistere a questi meccanismi di cattura ci serve – e molto – un libro come quello che qui proponiamo al lettore. Un libro scritto dal filosofo ticinese Fabio Merlini e uscito da poche settimane per i tipi dell’editore Aragno (da cui è tratta anche la citazione riportata sopra), ultimo di una serie di libri tutti importanti. Un libro chiarissimo nella scrittura e nel ragionare insieme al suo lettore (sì, è un libro di filosofia; ma niente paura) e coinvolgente nella sua costruzione. Ma è un libro da leggere lentamente, proprio per accrescere il coinvolgimento di noi con noi stessi e con gli altri. Un libro da tenere quasi come un livre de chevet, da riaprire magari a caso (ma dopo averlo letto per intero), lasciandoci svegliare dal sonno e dalla dimenticanza di noi stessi in cui siamo immersi.

Era ciò che cercava di fare Socrate – svegliare dal sonno i suoi concittadini – “con la forza esortativa di una interrogazione ironica e al contempo implacabile”, come ricorda Merlini; con il cui libro siamo invece ora coinvolti da una frase scritta su carta, da un pensiero che fa nascere in noi, facendoci rinascere come individui che pensano e che non solo producono e consumano e si divertono, come invece ci formatta, ci norma e normalizza il sistema. Sistema che ci vuole appunto alienati/estraniati (fuori di noi, dalla nostra interiorità), ma felici di esserlo; che ci vuole soprattutto narcisisti – cioè innamorati della nostra immagine riflessa, fuori di noi, ma che non è noi (è appunto l’esteriorizzazione di sé invece della interiorizzazione – e meno che meno è una relazione di dialogo tra io e mondo, tra interiorità ed esteriorità) noi quindi divenendo incapaci di capire chi si è mediante una consapevole partecipazione al mondo.

Dunque, questo libro parla di noi. Di noi individui e di noi società, di cosa siamo diventati, di cosa abbiamo perduto (noi stessi, il senso del tempo e quindi della vita, la capacità di immaginare e di progettare qualcosa di nostro dovendoci invece adattare a ciò che ci offre il sistema (cioè il neoliberismo e la tecnica, industria della distrazione compresa). Un libro, questo di Merlini, che invece ci suggerisce come provare a ritrovare noi stessi, dopo che il sistema ci ha fatto smarrire/distrarre da noi stessi. E Merlini lo fa rileggendo Socrate (che “cerca di spezzare la sussunzione dell’individuo alla società. Cioè alle sue esigenze produttive, riproduttive, rappresentative, estetiche, onorifiche”); e Dostoevskij e la sua magnifica riflessione sull’azione del potere sulle masse (“maternage infantilizzante”, lo definisce Merlini) nella Leggenda del Grande Inquisitore; e poi Goethe a Roma, Proust e i modi del leggere e Glenn Gould e il suo pianoforte – ma non solo. Tutto viene dichiarato già nel titolo: Ritornare in sé: appunto per ri-prenderci una vita oggi estraniata, alienata dal sistema teletecnico o tele-tecno-capitalista (come lo chiama Merlini) ed economico.

Un libro che si propone di recuperare dunque – riuscendoci – un “sentimento dell’interiorità” perduta. Cioè, scrive Merlini, la possibilità data a ciascuno di “sostare presso di noi, dopo essere tornati a noi, ma senza isolarci o ripiegandoci su noi stessi”, cioè senza perdere la relazione con gli altri e con il mondo. Insieme smontando le tecniche di distrazione finalizzate a rimuovere ogni consapevolezza di sé dell’individuo, facendogli ad esempio credere (ma è sbagliatissimo crederlo) che la tecnologia sia un mezzo per l’emancipazione umana; un automatismo – la relazione tra tecnologia ed emancipazione – che in realtà potrebbe esistere “solo se l’implementazione tecnologica fosse accompagnata e potenziata da un monitoraggio continuo dei suoi effetti sul corpo sociale e i suoi ambienti”. Il tutto però integrato da una capacità politica di correggere eventuali errori – monitoraggio e capacità politica di correzione oggi del tutto assenti, per cui oggi abbiamo solo una “innovazione della tecnologia”, ma non della società e della politica (e di noi stessi).

Il sottotitolo del libro è ancora più chiaro e ci suggerisce appunto di ri-prenderci l’interiorità smarrita – che abbiamo smarrito per adattarci alle esigenze di un sistema basato invece, diciamo noi, sulla produzione industriale anche di distrazione infinita. Ri-prenderci l’interiorità: cioè l’io riflessivo, consapevole, la capacità di immaginare, di essere noi stessi, di guardarci dentro smettendola di metterci in mostra (di uscire da noi, di esteriorizzarci) in rete con un selfie o con un video o sul mercato come capitale umano, credendo ingenuamente che esporci sia in realtà il modo migliore per essere noi stessi – ma niente è più falso di questa credenza. Riprenderci invece l’interiorità – e l’autonomia, cioè una autentica soggettività e quindi la libertà – è la via corretta per tornare ad essere soggetti.

È un libro – ma questa non è una recensione classica – da leggere in solitudine, sapendo che quando si legge non si è mai soli perché leggendo (un libro) si è sempre in compagnia di noi che leggiamo e insieme di chi ha scritto ciò che leggiamo e della storia che ci narra – un processo tutto diverso da quello prodotto dallo schermo di uno smartphone o di un pc, dove siamo invece sempre altrove da noi stessi e dagli altri incalzati da una accelerazione compulsiva del tempo che non lascia spazio al pensare. Ma soprattutto, leggendo un libro, siamo/viviamo con i pensieri e con le immagini (l’immaginazione, appunto, però nostra) che nascono in noi leggendo – ma siamo anche con ciò che ci circonda mentre leggiamo, perché solitudine non significa isolamento dal mondo. Mentre uno smartphone ci toglie la solitudine, ci connette agli altri ma isolandoci dagli altri, l’immaginazione non è mai nostra – e possiamo anche dire che il vecchio panem et circenses è stato digitalizzato e industrializzato e soprattutto si è fatto pervasivo h24.

Un libro di filosofia, dunque. Da leggere partendo da una convinzione che condividiamo con chi ci sta leggendo: che oggi abbiamo un grande bisogno – come individui, come collettività – di filosofi che ci insegnino nuovamente a pensare, a guardare, a riflettere, ponendoci domande su noi stessi e sul mondo. E allora concludiamo in modo personalissimo questa recensione-non-recensione dicendo: basta economisti, basta imprenditori-guru, basta manager, basta esperti che ci dicono cosa fare e come vivere, come metterci sul mercato, come aumentare la nostra produttività, cosa comprare, come presentarci per venderci meglio; basta delegare la nostra vita a una app; basta cercare algoritmi che ci diano le risposte prima ancora di avere fatto le domande. Abbiamo davvero bisogno – mentre cerchiamo di uscire dalla pandemia, mentre ci ritroviamo la guerra in Europa, mentre dimentichiamo che la crisi climatica è sempre più grave – di filosofi che ci aiutino appunto a ritornare in sé, cioè a noi e in noi (chi siamo, dove vogliamo andare, in che modo, secondo quali obiettivi condivisi consapevolmente e responsabilmente), in-contrandoci/ri-trovandoci (ed è il presupposto per incontrare gli altri) trovando un equilibrio tra interiorità ed esteriorità, tra io e mondo, tra uomo e tecnica, tra uomo e ambiente.

Proteggendo l’io dalla normatività del mondo e proteggendo il mondo dal narcisismo dell’io.


Fabio Merlini, Ritornare in sé. L’interiorità smarrita e l’infinita distrazione, Aragno Editore, 2022






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Lelio Demichelis
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