Economia, un Biden da non credere
Ex cantore dell’equilibrio di bilancio, Biden lancia il più audace piano di investimenti pubblici degli ultimi 76 anni
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Ex cantore dell’equilibrio di bilancio, Biden lancia il più audace piano di investimenti pubblici degli ultimi 76 anni
• – Aldo Sofia
Crisi pandemica, vaccini e dipendenza della Svizzera
• – Daniele Piazza
Strumentalizzare il sentimento popolare per ottenere i propri scopi
• – Marco Züblin
Un esempio in Via dei Matti numero 0
• – Enrico Lombardi
Le ragioni storiche di un record, con il responsabile di ricerca dell’Osservatorio della vita politica regionale dell'Università di Losanna
• – Aldo Sofia
Valentin Vogt sostiene che, vaccinate le persone a rischio, si possono tollerare 20-30 mila contagi al giorno!
• – Riccardo Fanciola
Aumentano le stragi ma il presidente americano prospetta una riforma sulle armi da fuoco fin troppo timida
• – Andrea Vosti
foto © Marco D’Anna Della mia terra ricordo i tre vulcani che dominano Antigua e il grande lago dove ho imparato a navigare, l’Atitlan, il più bello di tutti, era il mio...
• – marcosteiner_marcodanna
Dialogo a distanza fra un Naufrago e un giramondo
• – Bruno Giussani
Gli Stati hanno finanziato con miliardi di fondi pubblici la ricerca per i vaccini anti-Covid; ma i profitti vanno solo alle farmaceutiche
• – Aldo Sofia
Ex cantore dell’equilibrio di bilancio, Biden lancia il più audace piano di investimenti pubblici degli ultimi 76 anni
Tutto, potevano attendersi, tranne una simile audacia riformatrice in economia. “Da far girar la testa”, confessa Will Hutton, ex direttore dell’inglese “Observer”. Mentre Bernie Sanders, il capofila dei radicali, ammette che il piano da duemila miliardi per rinnovare le infrastrutture negli Stati Uniti “è il provvedimento più significativo per i lavoratori approvato da decenni”. In che stato siano le infrastrutture nella prima economia mondiale, lo racconta bene Massimo Gaggi in “Crack America” (ed Solferino, 2020). Un assaggio: “Posso cominciare da sotto casa mia, sulla Second Avenue di Manhattan: nel sottosuolo corrono i binari di una nuova metropolitana, il prolungamento della linea Q. È la prima tratta realizzata da 80 anni a questa parte. Il miglio di metrò più caro al mondo: 4,5 miliardi di dollari per tre stazioni e un chilometro e mezzo di rotaie. Almeno sono binari nuovi: la rete della ‘subway’ di New York è un pezzo di archeologia industriale con molti scambi e comandi elettromeccanici che risalgono addirittura ai primi del Novecento. Un incubo per tutti… E si può continuare con altri esempi di infrastrutture pubbliche, dai treni antidiluviani a una rete elettrica fatta di pali di legno con in cima trasformatori grossi come bidoni della spazzatura e cavi volanti ovunque, che al primo incidente lasciano intere città al buio quando non producono incendi paurosi”. Non vi vengono in mente gli scenari di celebri film yankee?
L’America è certo anche la patria della più raffinata tecnologia, ma è questo immenso ritardo strutturale (ferrovie, strade, ponti, edifici pubblici) che contribuisce a provocare nel cittadino medio il senso del declino, nonché di sfiducia e frustrazione. Abbondantemente innaffiati dalla retorica elettorale di Trump, che aveva sì il suo piano di riforma infrastrutturale (rimasto sulla carta), ma che comunque lo aveva fatto precedere, con la celebre riforma del 2015, da uno dei più iniqui tagli fiscali ai profitti delle imprese. Invece “sleepy Joe”, come lo definiva sprezzantemente il predecessore, dimostra di ‘non dormire’ affatto, e intende varare il più massiccio programma di investimenti pubblici degli ultimi 76 anni. Sempre che, tenuto conto della risicata maggioranza al Senato, riesca a convincere il Congresso. E non si tratta dell’unica insidia. I rischi non mancano. Comunque già gli storici si interrogano e si confrontano, se sia un piano più rooseveltiano e dunque vicino al ‘new deal’ di Roosevelt, oppure più ispirato alla ‘Great Society’ di Lyndon Johnson. Per ora, poco importa. Importano i quasi quattromila miliardi di fondi pubblici messi in totale sul tavolo, poiché vi ha aggiunto altri duemila miliardi in aiuti pubblici a classe media, bambini, istruzione, sulla spinta del ‘recovery’ post-pandemia. E ancora non basta: negli ultimi giorni ha preannunciato l’intenzione di batter cassa alle multinazionali, con una tassa globale al 21%, e un aumento di prelievo di 2.500 miliardi di dollari in quindici anni.
Ha fretta, Biden. Si tratta di riallacciare il rapporto fra classe operaia bianca e classe media da una parte, e partito democratico dall’altra; di tagliare al più presto l’erba ai tentativi di rivincita repubblicani (Trump in primis); di vincere le fondamentali elezioni di mid-term del prossimo anno, per non finire in minoranza a Capital Hill; quindi di “riconciliare il partito democratico con la sua anima”, come ha scritto Robert Kutner, direttore di ‘American Prospect’, rivista progressista statunitense. In sostanza, di rimettere lo Stato al suo posto visto che, sottolinea Will Hutton, “negli Stati Uniti il capitalismo senza freni era diventato troppo monopolistico”.
Fra i banchi di parlamentari e governi, rispetto a un qualsiasi ragionamento si preferisce spesso e volentieri il ricorso a slogan e retorica da comizio