Stiamo vivendo, in questi ultimi decenni, una stagione promettente, che parrebbe condurre, piano piano e in modo non necessariamente lineare, a un progressivo e radicale ripensamento del rapporto fra la società e le persone con disabilità. Sul fenomeno agiscono più fattori che vanno dal generale invecchiamento della popolazione, ai progressi di una medicina sempre più performante, allo sviluppo di una tecnologia che consente forme di partecipazione, anche differita, un tempo impensabili. Ne consegue un significativo mutamento sul piano della percezione e dell’accettazione di sé e dell’altro. Si sta imponendo un nuovo modello interpretativo che, opponendosi alla tradizionale nozione di deficit legato alla persona, mette al centro della riflessione il concetto di attività. Da esso deriva la convinzione che il poter prendere parte ad attività sociali, culturali e politiche debba essere garantito, per diritto di cittadinanza, a tutta la popolazione, anche alle persone con disabilità.
È un cambio di paradigma importante, ben riassunto nel capoverso E della “Convenzione sui diritti delle persone con disabilità” dell’ONU, a cui la Svizzera ha aderito fin dal 2014, il quale riconosce “che la disabilità è un concetto in evoluzione e che la disabilità è il risultato dell’interazione fra persone con minorazioni e barriere attitudinali ed ambientali, che impedisce la loro piena ed efficace partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri”. Sono quindi i fattori ambientali che costituiscono l’elemento maggiormente discriminante: tanto più l’ambiente non pone barriere tanto più sarà favorita la partecipazione.
Con richiamo esplicito ai principi della Convenzione, il 30 ottobre 2022, l’86.2 % dei votanti ticinesi ha accettato il nuovo articolo 13a della Costituzione cantonale. Viene così sancito l’obbligo per il Cantone e i Comuni di tener “conto dei bisogni specifici delle persone con disabilità” e di adottare “le necessarie misure per assicurare la loro autonomia e per favorire la loro inclusione sociale”. La forza dell’idea dell’inclusione, che fa così, per la prima volta, la sua apparizione nella nostra Costituzione, è che non ci sono più dei diversi che devono adattarsi, ma è la società, nella sua interezza, che deve attivarsi per dare a tutti la possibilità di partecipare.
Rispettare, tutelare, promuovere e realizzare i diritti che la legislazione garantisce alle persone con disabilità è la sfida odierna. La distanza da colmare fra il diritto e il suo reale esercizio è enorme. Il Rapporto finale del Comitato ONU, del 13 aprile 2022, sulla situazione in Svizzera è infatti estremamente critico e stigmatizza l’assenza di una strategia globale di attuazione per raggiungere gli obiettivi fissati dalla Convenzione. Vanno ancora definiti priorità, competenze, scadenze e mezzi finanziari.
Per raggiungere questo piano di concretezza la presenza sullo scenario politico delle persone con disabilità è essenziale. L’accesso alle cariche pubbliche permetterebbe loro di influenzare l’elaborazione e l’attuazione delle leggi e delle politiche che li riguardano. Per le persone con disabilità non è un percorso facile: devono accettare di diventare visibili, senza preoccuparsi se la loro prestazione non è conforme agli standard della nostra, competitiva, società. Ma non lo è neppure per il mondo della politica, chiamato a riconoscere e accogliere in modo funzionale e rispettoso le persone con disabilità, adattandosi preventivamente ai loro bisogni e rinunciando a ogni tentazione assimilatrice. La posta in gioco è alta: la sconfitta dell’invisibilità e della marginalità politica e sociale delle persone con disabilità e, parallelamente, l’accesso alle loro competenze specifiche quale antidoto allo sguardo abilista che, al di là di ogni buona volontà, ancora troppo spesso inficia le scelte operative dei nostri rappresentanti.
Marco Altomare è candidato al Gran Consiglio (PS-GiSo)