Di Paolo Mastrolilli, La Repubblica
San Francisco – Il filosofo di Princeton Michael Walzer, padre nobile del progressismo americano, difende su tutti i fronti la chiarezza morale e pratica del presidente americano: “Biden ha fatto bene a dire che il leader cinese è un dittatore, non solo perché tecnicamente lo è, ma anche perché così ha lanciato un segnale diplomatico chiaro su cosa Pechino deve aspettarsi nelle relazioni bilaterali, e ha risposto ai critici interni in vista delle elezioni del prossimo anno. Lo stesso discorso vale per Gaza, dove il capo della Casa Bianca ha avuto il coraggio di dire la verità su Hamas, ma nello stesso tempo sta premendo su Israele affinché eviti al massimo le vittime civili e riprenda il cammino verso la creazione dei due stati”.
Il presidente Xi non è stato eletto democraticamente e liberamente dai cinesi. Definirlo dittatore è una descrizione corretta?
“Prima di tutto, il presidente Biden crede nella necessità di essere blunt, diretto, e io penso che sia una virtù. Sì, il leader della Cina oggi è visibilmente un dittatore, e infatti detta la politica cinese a ogni livello. Perciò ritengo che la definizione sia accurata. Credo anche sia una virtù del presidente dirlo, e la considero una forma di diplomazia”.
E’ utile essere chiari e spiegare con chi si ha a che fare?
“Sì, e far capire che non c’è motivo di sorpresa, quando Biden descrive la realtà come la vede”.
Ero nella stanza. La domanda sul fatto se Biden definirebbe ancora Xi un dittatore è stata posta alla fine della conferenza stampa, non era prevista, e lui avrebbe potuto tranquillamente non rispondere. Invece ha deciso di fermarsi e accettare in particolare questa domanda, tra le tante che i giornalisti presenti stavano urlando. E’ stata una gaffe o un atto premeditato?
“Lo aveva già detto prima. Sì, presumo che intendesse farlo”.
La domanda è stata posta così: “Dopo l’incontro di oggi, definirebbe ancora il presidente Xi come un dittatore? Questo è il termine che aveva usato in precedenza quest’anno”.
“Sì, sì. E ha fatto bene”.
La spiegazione data è che Xi guida il governo di un paese comunista, perciò è automaticamente un dittatore. La condivide?
“Sì. Cosa sta dicendo è: tu sei un dittatore, e decidi tutto quanto accade in Cina; io invece sono un presidente democraticamente eletto e non sono in condizione di stabilire qualunque cosa accada nel mio Paese”.
Lo ha detto anche per ragioni di politica interna, visto che la Cina sarà parte del dibattito nella campagna presidenziale del 2024 e gli avversari repubblicani già lo criticano per la sua debolezza?
“Sono sicuro che Biden stia sempre pensando alla politica domestica, ma siccome stava anche negoziando e incontrando il leader cinese, non ho dubbi che il messaggio fosse indirizzato a lui. Questa è la base su cui stiamo parlando: io so chi sei tu, e tu devi sapere chi sono io”.
…E quindi puoi aspettarti azioni da parte mia basate su questa differenza fondamentale?
“Certo. Il messaggio è esattamente questo ed è importante darlo con chiarezza morale e pratica”.
Alcuni osservatori notano che lo scopo del bilaterale era frenare la deriva dei rapporti tra Usa e Cina verso lo scontro, da Taiwan all’Ucraina, dal Medio Oriente ai commerci, e questo commento del presidente non aiuta il raggiungimento del risultato auspicato.
“Non credo. La chiarezza morale è fondamentale anche dal punto di vista pratico, a questi livelli”.
Nel briefing tenuto dalla Casa Bianca il giorno dopo, i portavoce hanno evitato di commentare la definizione di Xi come dittatore e la reazione risentita di Pechino, limitandosi a sottolineare che i colloqui hanno ottenuto risultati utili e importanti. Lo hanno fatto perché volevano sminuire la rilevanza dell’incidente, oppure perché non volevano avventurarsi in considerazioni che lasciano al loro capo?
“Probabilmente la risposta giusta è la seconda. Volevano restare fuori da questo tema”.
Su Gaza Biden ha chiesto a Xi di intervenire presso l’Iran, per avvertire Teheran che qualsiasi tentativo di allargare il conflitto riceverà una dura risposta dagli Usa. Era la cosa giusta da fare?
“Sì, assolutamente. E se i cinesi cooperassero, sarebbe un segnale molto buono sulle loro intenzioni geopolitiche in generale”.
Biden ha detto che Hamas è stato il primo a commettere un crimine di guerra, nascondendo posti di comando e armi negli ospedali. Israele ha il dovere di evitare le vittime civili, ma ha il diritto di colpire i terroristi nelle loro basi. Condivide?
“Sì. Il presidente è coerente e molto coraggioso, vista la situazione politica domestica, con così tante persone nel suo stesso partito e nel dipartimento di Stato impazienti di rimproverare Israele per questo aumento del numero delle vittime civili. Penso che stia dicendo le cose giuste. Spero anche che stia consegnando agli israeliani un messaggio molto chiaro riguardo quanto devono fare per limitare le vittime risultanti dalle loro azioni. Credo li stia pressando pure sulla quantità degli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile. Penso lo stia facendo e spero che abbia un effetto”.
Ha detto anche che l’unica soluzione stabile di lungo termine è la creazione dei due Stati. Ha ragione, e pensa che Israele dovrebbe ascoltarlo?
“Certamente aiuterebbe il riconoscimento internazionale delle operazioni militari condotte, se Israele ascoltasse Biden e legasse quanto sta accadendo alla creazione dei due Stati. L’idea dei due Stati potrebbe essere l’unica cosa buona che viene da questa orribile guerra”.
Dopo il conflitto dello Yom Kippur, il risultato fu la pace con l’Egitto. Potrebbe ripetersi questo modello?
“Presumo che se Hamas sarà sconfitto, ci sarà sollievo in gran parte del mondo arabo e forse la volontà di spingere per una soluzione definitiva sulla base dei due stati. Ciò richiederebbe forse una modifica delle disposizioni e delle sistemazioni di natura federale”.
Erano anche in corso intensi negoziati diplomatici con l’Arabia Saudita per la normalizzazione dei rapporti con Israele, che secondo molti osservatori sono la vera ragione per cui Iran ha favorito o appoggiato l’attacco di Hamas.
“Esatto, credo sia così. Quindi spero che questo accordo venga rivitalizzato e l’Arabia Saudita assuma un ruolo rappresentativo molto più forte in nome dei palestinesi”.