Harry Belafonte, l’ attivista che cantando ha infranto le barriere
Una vera star mondiale, che dopo "The Banana Boat Song" divenne un alleato fondamentale del reverendo Martin Luther King Jr. durante la lotta per i diritti civili. È morto all’età di 96 anni
Si è spento ieri nella sua casa di Manhattan, all’età di 96 anni, Harry Belafonte, il cantante che con il suo dinamico grido a cappella di “Day-O!” da “The Banana Boat Song” ed altre musiche della tradizione popolare, specie caraibica, è assurto alla celebrità internazionale come cantante ed attore ma proprio in virtù di questa sua vasta fama è diventato uno dei grandi motori dell’attivismo antirazziale, contribuendo ampiamente a finanziare il movimento per i diritti civili in patria e le cause per i diritti umani in tutto il mondo.
Belafonte era nato da una famiglia di immigrati giamaicani, ed è cresciuto in povertà nella Harlem dell’epoca della Grande Depressione; con le sue qualità vocali ed il forte temperamento ha interpretato canzoni che gli hanno permesso di scalare le classifiche di vendita, diventando così una vera e grande star della musica popolare neroamericana. Nel corso di cinque decenni ha stabilito tutta una serie di record di popolarità e successo come star del cinema, della televisione e del palcoscenico. Ma in lui lavoro artistico e umanitario si sono sempre affiancati e sovrapposti, nella sua profonda convinzione che “il ruolo dell’arte non è solo quello di mostrare la vita com’è, ma di mostrare la vita come dovrebbe essere”.
Grande amico e confidente del reverendo Martin Luther King Jr., Belafonte ha svolto per anni un ruolo di collegamento tra il movimento per i diritti civili e le capitali dello spettacolo, Hollywood e New York. Ha anche saputo usare la propria popolarità per promuovere la lotta anti-apartheid in Sudafrica e sostenere campagne di aiuti come quella del 1985 denominata “USA for Africa” legata alla registrazione del celeberrimo brano “We Are the World“, operazione musicale forse senza pari per la presenza, nello stesso brano, diretti dal geniale Quincy Jones, di un numero incredibile di celebrità, da Michael Jackson a Bob Dylan, da Ray Charles a Bruce Springsteen, e Tina Turner, Diana Ross e tante e tanti altri. Motore di “We Are the World”, nel filmato Belafonte ha espressamente voluto relegarsi al ruolo di semplice corista, come si può vedere, andandolo a cercare fra il nutrito gruppo di cantanti. Il progetto rimane straordinario ed ha raccolto decine di milioni di dollari per forniture mediche e alimentari; Belafonte ha partecipato alla difficile missione di consegna del materiale sanitario raccolto agli operatori umanitari in Sudan e in Etiopia.
In una sua celebre dichiarazione,ebbe a dire di aver trascorso la sua vita “in un costante stato di ribellione”. Nella sua lunga parabola esistenziale ed artistica è stato capace di rimproverare pubblicamente ed aspramente diversi presidenti americani – democratici e repubblicani – di non fare abbastanza per porre fine alle discriminazioni negli Stati Uniti o ai conflitti in cui il Paese si impegnato nel mondo. Ha criticato la Casa Bianca di George W. Bush per l’invasione dell’Iraq nel 2003 e ha suscitato un certo clamore quando ha paragonato Colin Powell, anch’egli di origine giamaicana e all’epoca Segretario di Stato, a uno “schiavo domestico”.
È persino arrivato a criticare il primo presidente afroamericano della nazione, affermando che “dotato com’è di acume ed intelligenza, Barack Obama sembra mancare totalmente nell’esprimere empatia verso i diseredati, siano essi bianchi o neri”. E come non bastasse, tanto per alimentare le proteste di coloro che lo ritenevano eccessivo, estremo,Belafonte si è pubblicamente dichiarato vicino a leader di sinistra considerati “oppressivi” come Fidel Castro a Cuba e Hugo Chávez in Venezuela.
“Non ero un artista che era diventato un attivista”, amava dire Belafonte. “Ero un attivista che era diventato un artista”.
Con il suo classico sorriso irriverente e una voce roca, inconfondibile, Belafonte era diventato famoso negli anni Cinquanta grazie a una sorta di sensualità audace, che si faceva beffe dei tabù sessuali come dei pregiudizi razziali. Nei concerti e in televisione, si presentava al pubblico come una sorta di “incantatore di serpenti”, indossando camicie sbottonate che mostravano un corpo virile ed atletico.
Un fascino che lo portò presto anche al cinema, così che un anno dopo che il “Production Code” dell’industria cinematografica aveva abolito il divieto di mostrare relazioni sessuali interrazziali nei film, Belafonte interpretò il ruolo di “oggetto del desiderio amoroso” dell’attrice bianca Joan Fontaine in “Island in the Sun” (L’isola nel sole, 1957). Con questo film, che in seguito rinnegherà definendolo “troppo mite”, Belafonte diventerà il primo idolo nero delle sale cinematografiche, sia per il pubblico di colore che per gli spettatori bianchi. Un aspetto, quest’ultimo, che non mancò di essergli rimproverato dall’ala piû oltranzista della battaglia antirazziale.
È stato inoltre il primo attore di colore a vincere un Tony Award a Broadway, per la sua interpretazione della musica popolare americana e caraibica nello spettacolo “John Murray Anderson’s Almanac” del 1953. Sei anni dopo, fu il primo produttore afroamericano a ricevere un Emmy Award per “Tonight With Belafonte”, uno speciale della CBS che presentava la storia della vita dei neri americani attraverso la musica.
Ma soprattutto è stato una star della discografia. Il suo album “Calypso” del 1956 vendette più di 1 milione di copie, diventando per un certo periodo il “rivale” principale di Elvis Presley nella classifiche di vendite della musica pop e generando un interesse mondiale per la musica dal sapore caraibico.
“Non c’era mai stato nessun cantante così popolare tra il pubblico della classe media bianca e quello nero”, ha dichiarato in un’intervista il critico e studioso Henry Louis Gates Jr. “In questo senso, è stato un agente di cambiamento, la voce musicale dei diritti civili”. Usando la musica per celebrare la fratellanza universale, Belafonte ha incoraggiato il pubblico a cantare insieme a canzoni calypso, di protesta e delle gang, alla ballata “Danny Boy” e alla canzone popolare ebraica “Hava Nagila”.
A riprova del suo potere di attrazione, nel 1968 Belafonte fu scelto come primo conduttore nero per sostituire Johnny Carson al “Tonight Show” della NBC, il programma di approfondimento notturno più seguito del Paese. Belafonte usò la piattaforma non solo per intrattenere, ma anche per discutere di diritti civili o della guerra del Vietnam con ospiti come King o l’allora candidato alla presidenza Robert F. Kennedy.
Nello stesso anno, Belafonte e la cantante bianca inglese Petula Clark si esibirono in duetto nell’ esecuzione della canzone contro la guerra “Paths of Glory” in uno speciale della NBC. Un dirigente pubblicitario della casa automobilistica Chrysler-Plymouth, che sponsorizzava lo spettacolo, protestò vivacemente quando, durante la registrazione, la Clark toccò spontaneamente il braccio di Belafonte.
Il dirigente che aveva interrotto la canzone e aveva chiesto di rifare la registrazione, fu poi rimproverato dalla Chrysler e fu costretto a telefonare a Belafonte per scusarsi. “Le sue scuse arrivano con 100 anni di ritardo”, rispose il cantante. La NBC mantenne la scena quando lo show fu trasmesso. In seguito Belafonte disse a un intervistatore: “È essenziale per la televisione e per le industrie sapere che esistono persone come questo dirigente. Sono stanco e frustrato per quello che devo continuamente trovarmi ad affrontare e a combattere”.
L’alleanza con King
Belafonte conobbe King nel 1956, quando l’allora oscuro predicatore chiamò e invitò il cantante e attore a sentirlo parlare alla Abyssinian Baptist Church di Harlem. Belafonte, che aveva due anni in più di King, dichiarò di essere rimasto “scosso” dal sermone e in seguito ha sempre parlato di King come di una figura che ha completamente trasformato la sua vita.
“Non ero un nonviolento di natura – o se lo ero, il fatto di crescere nelle strade di Harlem me l’aveva fatto passare – quindi per qualche tempo ho visto la nonviolenza più come un’accorta tattica organizzativa che altro”, ha scritto nel suo libro di memorie del 2011, “My Song”, scritto con Michael Shnayerson.
“Man mano che conoscevo meglio Martin e vedevo la nonviolenza messa alla prova, arrivavo ad apprezzarne il valore spirituale ed emotivo”, ha aggiunto. “Ho scoperto di voler vivere io stesso secondo questi valori, sia per aiutare il movimento sia per lavare via la mia rabbia personale”.
Come uno dei principali benefattori di King, Belafonte ha usato la sua amicizia con Frank Sinatra, Marlon Brando, Lena Horne e Henry Fonda per raccogliere più di 100.000 dollari per finanziare le Freedom Rides del 1964, che sfidavano la segregazione razziale nei trasporti interstatali. Portò anche Brando, Charlton Heston, Paul Newman e Tony Bennett alla Marcia su Washington del 1963, dove King tenne il suo discorso “I Have a Dream” – una dimostrazione critica del sostegno dei bianchi che rese il discorso di King ancora più universale.
Come uno degli intrattenitori più pagati del mondo dello spettacolo, Belafonte raccolse velocemente ingenti somme di denaro per pagare le cauzioni dei leader dei diritti civili e dei manifestanti fuori dalle carceri del Sud. Durante le amministrazioni Kennedy e Johnson, la sua villa di 23 stanze sulla West End Avenue di Manhattan era usata dai leader del movimento e dai funzionari del Dipartimento di Giustizia come luogo privilegiato di dibattito e mediazione.
Dopo l’assassinio di King nel 1968, Belafonte è diventato un testimonial umanitario itinerante senza portafoglio. Contribuì a fondare TransAfrica, un gruppo di pressione che sollecitava sanzioni economiche contro il regime di apartheid del Sudafrica. Ha fatto pressioni per il rilascio di Nelson Mandela e ha contribuito a coordinare la prima visita del futuro presidente sudafricano negli Stati Uniti dopo la sua liberazione nel 1990.
Dopo la morte dell’intrattenitore Danny Kaye nel 1987, Belafonte è diventato il secondo americano a ricevere il titolo di “ambasciatore di buona volontà” dell’UNICEF, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia. Ha usato questa posizione per unire artisti e intellettuali in Africa e concentrarsi su problemi come la fame, la poliomelite e la malaria.
La portata del lavoro di Belafonte gli è valsa la National Medal of Arts nel 1994, il Kennedy Center Honors nel 1989 e i premi alla carriera del NAACP e dei Grammy. Nel 2014 ha ricevuto il Jean Hersholt Humanitarian Award dall’Academy of Motion Picture Arts and Sciences.
Il già citato Henry Louis Gates lo ha definito “un anello di congiunzione e un residuo dell’ardente impegno della vecchia sinistra radicale”, aggiungendo che Belafonte “si vede come una voce solitaria che sostiene le cause lasciate indietro dall’establishment nero in ascesa”.
Il suo modo di fare intransigente ha messo a dura prova o ha messo fine alle amicizie un tempo strette con celebri personaggi quali Sidney Poitier e Bill Cosby. Si è anche allontanato dai membri della famiglia di King, criticandoli perché più interessati a trarre profitto dall’eredità del leader dei diritti civili che a usare la sua statura per promuovere cause come la riduzione della povertà e i diritti dei lavoratori.
Nel 2012, una decina d’anni dopo la decisione di interrompere la sua attività musicale e cinematografica, Harry Belafonte è stato ospite d’onore del Locarno Film Festival, che gli ha conferito il Pardo alla carriera. Nel sito della RSI la bella intervista di Cristina Trezzini
Versione e adattamento a cura della redazione
Nell’immagine: Harry Belafonte durante l’intervista della RSI
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