A carte scoperte
A proposito della lista elettorale rosso-verde e delle discussioni in casa socialista su candidature e programma - Di Martino Rossi
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A proposito della lista elettorale rosso-verde e delle discussioni in casa socialista su candidature e programma - Di Martino Rossi
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A proposito della lista elettorale rosso-verde e delle discussioni in casa socialista su candidature e programma - Di Martino Rossi
Che dire? Legittimo, certo. Condivisibile pure che la e il copresidente del partito non facciano prima del congresso una campagna a mezzo stampa a favore dell’una o dell’altra persona che ambisce ad essere messa in lista.
Meno condivisibile, invece, che non ritengano utile spiegare e promuovere la strategia elettorale già scelta dalla Conferenza cantonale: lista unica, due candidati ai Verdi, due ai socialisti di cui uno espresso dal movimento giovanile del partito, un quinto scelto di comune accordo fra PS e Verdi.
Poco comprensibile anche il disappunto per la discussione pubblica su quali persone disponibili a candidarsi siano ritenute più idonee. È ovvio da anni che i media, più che le strutture interne dei partiti, sono il luogo privilegiato del dibattito politico. È pure ovvio che i programmi e i singoli obiettivi si realizzano tramite le persone che ne sono convinte fautrici: difficile dunque disgiungere la discussione sul programma e quella sui candidati idonei a promuoverlo.
Eppure, non è difficile vederci chiaro e giustificare certe opzioni più che altre, senza teorizzazioni complicate. Provo a farlo in quattro punti.
Un ciclo storico secolare è esaurito. Quello in cui la sinistra poteva concentrarsi in modo quasi esclusivo sulla lotta contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Questa battaglia è tutt’ora fondamentale. Ma è ora più che mai evidente che è altrettanto importante, e in maggior misura proprio per i più svantaggiati, combattere lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali e l’impatto delle scelte economiche sull’ambiente e il clima.
PS e Verdi hanno tradotto questa consapevolezza nella decisione di andare oltre le convergenze puntuali sui temi presentandosi uniti per conquistare una forza maggiore nel governo del Paese: lista unica per il Consiglio di Stato, due candidati a testa più uno concordato. Entrambi i partiti cercheranno di mettere in campo candidati “forti” per assicurare alla lista almeno un eletto, possibilmente due.
Cosa significa “forte” nel contesto della lista unica che poggia su un programma concordato? Significa: a) che interpreta al meglio i valori, la visione, il programma, i singoli obiettivi che la lista “socialisti e verdi” promuove davanti agli elettori; b) che gode di riconoscimento e popolarità fra gli elettori che possono riconoscersi in quei valori e obiettivi; c) che per esperienza e competenza comprovata nell’attività politica pregressa appare idonea ad assumere responsabilità governative e a promuovere gli obiettivi condivisi anche in quella sede.
Nel PS una sola candidata con quelle caratteristiche si è messa a disposizione: Marina Carobbio. Con l’altra candidatura – pure coerente con la strategia scelta e che può condurre un’ottima campagna, ma con meno esperienza e popolarità già acquisite – il PS ha scelto di promuovere il suo rinnovamento con un giovane per il quale la partecipazione in prima fila alla battaglia elettorale sarà una grande opportunità di crescita politica.
Una piccola minoranza del partito, forse, non condivide queste scelte. Legittimo ma, a mio avviso, miope. Forse non le condivide neppure una valida docente di economia alla Supsi, Amalia Mirante, che desidera ora essere candidata sulla lista “socialisti e verdi”, pur essendosi pronunciata contro la lista unica. Come può suscitare il consenso degli elettori per quella lista unitaria, e la visione che la sottende, se non la condivide? Per ora non ha esposto esplicitamente ragioni valoriali e programmatiche di dissenso verso il “programma comune” rosso-verde e altri documenti programmatici del PS. Evita più che può di rendere note le sue posizioni su questioni politiche importanti e rimane ambigua su altre. Peccato, perché il confronto permette di affinare meglio gli obiettivi.
Nelle sue analisi economiche esprime però un orientamento “mainstream”, come è di moda dire oggi: la crescita del mitico Pil e dei posti di lavoro sono gli obiettivi faro, ieri come oggi, anche se le circostanze inducono con urgenza a dare più peso ai mutamenti qualitativi auspicabili in direzione dell’equità e della sostenibilità, alla trasformazione economica e sociale più che alla crescita quantitativa. Come ci ricorda Hobsbawm (“Il secolo breve”) “Se l’umanità deve avere un futuro nel quale riconoscersi, non potrà averlo prolungando il passato o il presente”.
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