Il primo, scrosciante, lungo, applauso durante il discorso di apertura del Congresso del partito comunista cinese, è giunto dopo che il Presidente Xi Jinping ha riaffermato l’opposizione all’indipendenza di Taiwan, confermando che l’annessione dell’isola auto-governata avverrà: “La riunificazione pacifica è il modo migliore” ha detto senza però escludere l’uso della forza per raggiungere il suo obiettivo. La direzione è chiara, l’inevitabilità anche, ma non per forza l’urgenza, visto che per lui “Le ruote storiche della riunificazione nazionale e del ringiovanimento nazionale vanno avanti”.
Il tassello mancante del sogno cinese è chiaramente una priorità di Xi e riaffermandolo a chiare lettere, ha mandato un segnale forte agli Stati Uniti senza nemmeno menzionarli. Per alcuni commentatori Taiwan rimarrà al centro delle tensioni e delle relazioni sino-americane. Se Washington adotta la politica dell’ ambiguità strategica verso Taiwan, Pechino si affida alla “pazienza storica e compostezza strategica”. Hong Kong, sempre più sotto il controllo di Pechino anche a causa dell’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale, è la prova per Xi che ci sono modi e tempi per ottenere ciò che vuole, anche se le due realtà sono molto diverse. Taiwan ha infatti risposto a tono, ricordando che la popolazione dell’isola si sente “Taiwanese”, non “cinese” e che il territorio è già una democrazia funzionante, che decide il suo futuro alle urne.
Nulla di nuovo quindi nel rapporto presentato da Xi Jinping, pochi i segnali di cambiamento emersi. A Pechino tutto si è svolto come da copione domenica, con la coreografia delle grandi occasioni, che non lascia nulla al caso, nemmeno quando viene servito il té ai delegati, perfettamente allineati nei loro posti a sedere, come in un dipinto d’altri tempi. Se da una parte ci sono stati i consueti temi e toni pomposi sulla missione storica del partito comunista cinese, dall’altra si è voluto bilanciare il linguaggio con il bisogno di prudenza. L’ossessione per l’ideologia è stato messo nel contesto del pragmatismo.
Il più importante appuntamento della politica cinese proseguirà fino a domenica, quando Xi Jinping, che per ora non ha fatto cenno all’alleanza della Cina con la Russia, verrà riconfermato al potere per uno storico terzo mandato, che rompe con la tradizione. Altri dettagli, altre analisi affioreranno, ma l’enfasi è stata posta certamente sulla sicurezza economica. Xi sembra aver segnalato il continuo interesse per i legami economici con l’Occidente, come prova dell’intenzione di volersi aprire strategicamente e questo sebbene il Presidente cinese abbia difeso la sua controversa politica zero-Covid, che invece sta isolando e rallentando l’economia della grande potenza.
La politica di azzeramento delle infenzioni da Covid-19 è stata per Xi una “guerra popolare per fermare la diffusione del virus”, ma non può non essere cosciente del crescente affaticamento per i blocchi e le restrizioni di viaggio. Pechino è stata sottoposta a rigide misure di sicurezza anche prima del congresso, suscitando frustrazione e una rara protesta nella capitale, giovedì. Sebbene l’azione solitaria sia stata prontamente fermata dalle autorità, sulla rete è riuscita a circolare più a lungo e raccogliere consensi.
Puntando sulla qualità e non più solo sulla quantità, Xi sembra essere convinto che l’economia andrà avanti malgrado il rischio di recessione, forse perché in passato i pianificatori economici sono sempre riusciti a creare la crescita necessaria. Il Presidente cinese ha voluto ricordare l’alleviamento della povertà come uno dei suoi maggiori successi, ma sa che la legittimità politica del partito comunista risiede nella realizzazione socio-economica. La fiducia e il sostegno di buona parte del Paese, potrebbero venire meno se il cittadino medio sentirà che le cose non stanno più andando bene. La disoccupazione giovanile, la crisi immobiliare in corso e, naturalmente la pandemia, sono già fonte di malcontento e preoccupazione.
Le difficoltà non sono solo esterne o internazionali, sono anche all’interno del partito. Revocando il limite di dieci anni del mandato presidenziale, Xi Jinping ha compromesso il sistema di controllo interno. E sebbene sia riuscito a cambiare la costituzione, eliminando chi gli resisteva, gli indizi che le lotte intestine tra i dirigenti siano costanti, non mancano. Xi ha del resto avvertito i membri del partito, ricordando di aver eliminato i “pericoli latenti” e ha chiesto lealtà.
Se una volta il Congresso serviva alle diverse fazioni per promuovere e posizionare i propri leader, oggi c’è poco margine di manovra. Xi attualmente ricopre le tre posizioni più potenti: quella di Segretario Generale del partito comunista cinese, di Presidente delle forze armate del paese e di Presidente. Sebbene un suo terzo mandato rischi di finire soltanto con la sua morte o il suo ritiro, non significa che sarà meno complicato.
Per un uomo che si è visto rigettare ben dieci volte l’adesione al partito comunista cinese, prima di essere ammesso nel 1974, essere oggi l’uomo più potente della Cina e avere la devozione di 97 milioni membri del partito, è una rivincita personale, irrinunciabile.