La Corte suprema detta le regole ed i principi della politica americana
Da 250 anni i giudici della Corte suprema sono al servizio della destra repubblicana
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Da 250 anni i giudici della Corte suprema sono al servizio della destra repubblicana
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Da 250 anni i giudici della Corte suprema sono al servizio della destra repubblicana
Di Alexander Stille, The Post International
È difficile sopravvalutare l’importanza delle due sentenze emesse la scorsa settimana dalla Corte Suprema degli Stati Uniti: la prima che obbliga lo Stato di New York a consentire ai possessori di armi di portarle con sé in pubblico, la seconda che permette agli Stati di vietare l’aborto. Allo stesso tempo, però, è altrettanto difficile percepire una logica giuridica coerente che giustifichi le due decisioni. La Corte spiega la sua sentenza sull’aborto insistendo sul fatto che in questo modo si restituisce il potere decisionale agli organi legislativi dei singoli Stati, cosicché in definitiva sono i cittadini a fare la loro scelta attraverso il processo politico. I giuristi conservatori amano dire che evitano di legiferare dal banco giudiziario, rifiutandosi di «sostituire le loro convinzioni sociali ed economiche al giudizio degli organi legislativi», come scrive il giudice Samuel Alito nella pronuncia sull’aborto. La sentenza sulle armi, tuttavia, fa esattamente il contrario: ribalta cioè una legge dello Stato di New York, approvata nel 1911, che gode del sostegno schiacciante della popolazione e che vuole limitare la presenza di armi nelle strade. La Corte Suprema, in altre parole, è a favore dei diritti del singolo Stato quando le leggi di quello Stato sono in linea con le posizioni politiche di destra dei giudici, mentre non ha difficoltà a ribaltare le leggi di uno Stato quando esse favoriscono una politica con cui i giudici sono in disaccordo. Testa vinciamo noi, croce perdi tu.
Il Partito Democratico ha prevalso nel voto popolare in cinque delle ultime sette elezioni presidenziali, ma le particolarità del sistema elettorale americano fondato sui collegi elettorali – va alla Casa Bianca il candidato che vince in un certo numero di Stati, indipendentemente dalle risultanze complessive del voto popolare a livello federale – hanno fatto sì che i repubblicani siano stati in grado di nominare sei dei nove giudici della Corte Suprema, assicurandosi così un’inattaccabile super-maggioranza di giudici di destra altamente ideologizzati.
Sei dei nove giudici sono cattolici, in un Paese che è cattolico solo per il 22 per cento. Cinque di loro sono cattolici profondamente religiosi convinti che il Paese negli ultimi anni abbia pericolosamente preso una direzione liberale e laica. Questi giudici sono determinati a riportare gli Stati Uniti a quella che percepiscono come un’epoca moralmente superiore: qualcosa di simile agli anni Cinquanta, quando ancora non si erano affermati i diritti civili, i diritti delle donne e dei gay; diritti che avrebbero minato varie forme di autorità tradizionale.
Il giudice Alito, che ha scritto il parere della sentenza sull’aborto, è stato attento ad affermare che «la nostra decisione riguarda il diritto costituzionale all’aborto e nessun altro diritto». Ma, sviscerando il diritto alla privacy, la sentenza di fatto apre le porte a contestazioni su molti altri diritti, come ha del resto chiarito un altro giudice della Corte Suprema, Clarence Thomas (un altro dei sei cattolici) nel suo parere separato concorde. Thomas ha scritto che, utilizzando lo stesso standard applicato nella decisione sull’aborto, anche il diritto alla contraccezione e al matrimonio gay andrebbero considerati dalla Corte come incostituzionali.
Le toghe nere e la teatralità solenne della Corte Suprema – l’invocazione religiosa pronunciata all’inizio di ogni sessione: «Dio salvi gli Stati Uniti e questa Onorevole Corte!» – hanno conferito a questi giudici un’aura di autorità quasi mistica. La realtà, però, è che la Corte è stata quasi sempre il ramo più reazionario e meno democratico del governo degli Stati Uniti e il più feroce difensore dei suoi gruppi di interesse più conservatori. A cominciare dal suo primo presidente, John Jay, che alla fine del Settecento dichiarò senza vergogna che «le persone che possiedono il Paese dovrebbero governarlo». Durante il diciannovesimo secolo, la Corte Suprema difese sempre i diritti dei proprietari di schiavi su quelli degli schiavi stessi e degli abolizionisti bianchi. Nel 1846, ad esempio, lo schiavo Dred Scott, che viveva nello Stato dell’Illinois, chiese ai giudici di essere dichiarato libero dopo la morte del suo proprietario: la Corte si pronunciò contro di lui con la famigerata frase secondo cui i neri sono «così inferiori da non avere diritti che l’uomo bianco è tenuto a rispettare».
E ancora: nel 1895 la Corte bollò come incostituzionale l’imposta sul reddito, vanificando così gli sforzi per la ridistribuzione della ricchezza. Per decenni la Corte Suprema si pronunciò a favore del lavoro minorile contro i tentativi di limitazione dell’orario di lavoro, contro il salario minimo, contro i sindacati in generale. Fu solo alla fine degli anni Trenta – quando, con il New Deal del presidente Roosevelt, il Paese si attivò in modo schiacciante a favore della protezione dei lavoratori – che i giudici decisero improvvisamente che molte delle istanza ritenute incostituzionali fino a ieri andavano improvvisamente considerate legittime. Negli ultimi cinquant’anni la Corte ha spinto gli Stati Uniti molto più a destra di quanto il Partito Repubblicano avrebbe mai potuto ottenere attraverso il processo elettorale.
Nel 2000 George W. Bush ha preso dagli americani oltre mezzo milione di voti in meno rispetto al democratico Al Gore, eppure è diventato lui il presidente grazie al (già citato) meccanismo del collegio elettorale – con una discutibile vittoria per 500 voti nello Stato della Florida – ma anche a una decisione della Corte Suprema che ha impedito il riconteggio dei voti malgrado le decine di migliaia di schede contestate. Da presidente, Bush ha poi nominato i giudici Samuel Alito e John Roberts, dando alla Corte una solida maggioranza conservatrice. Da allora la Corte Suprema ha sventrato praticamente tutte le leggi che tentano di limitare i contributi privati alle campagne elettorali, sostituendosi ancora una volta a quel processo legislativo rispetto al quale sostiene di volersi tenere lontana.
Alle presidenziali del 2016, che hanno visto eletto Donald Trump, la famiglia ultra-conservatrice Koch – le cui aziende sono tra le maggiori inquinatrici negli Stati Uniti – ha sostenuto economicamente la campagna di Trump in misura pari quasi a quella dell’intero Partito Repubblicano. Non sorprende allora che oggi la Corte decida praticamente in ogni occasione in senso favorevole alle grandi società, sia nelle controversie di lavoro sia in quelle che coinvolgono i consumatori. I giudici si pronunciano sempre a favore degli inquinatori e contro l’Agenzia per la protezione dell’Ambiente.
La Corte ha sventrato inoltre il Voting Rights Act (sostituendosi ancora una volta al potere legislativo) consentendo a Stati che hanno alle spalle una storia di discriminazione anti-nera di modificare le leggi elettorali come meglio credono: ciò ha provocato un’ondata di nuove leggi sul voto che sembrano avere come obiettivo quello di rendere più difficile l’esercizio del diritto di voto per i neri (è sufficiente che lo Stato affermi che non si vuole discriminare sulla base della razza). Di fatto, se una legge riduce il peso dei voti nei distretti tradizionalmente democratici, va bene. Nel 2008, per la prima volta, una maggioranza di giudici conservatrice (5 contro 4) ha stabilito che il possesso di armi è un diritto costituzionale fondamentale: un principio che la stessa Corte aveva evitato di pronunciare nei suoi 230 anni di storia.
È stato dichiarato legittimo anche il gerrymandering, la pratica di ridisegnare i distretti elettorali in modo da favorire un determinato partito politico: in altre parole, la Corte Suprema – prodotto del governo delle minoranze (grazie al collegio elettorale) – ha fornito al Partito Repubblicano tutti gli strumenti necessari per perpetrare il governo delle minoranze. Ad esempio, il Wisconsin è uno Stato a leggera prevalenza democratica – nel 2020 ha vinto Biden e nel 2018 è stato eletto un governatore dem – ma i repubblicani hanno una maggioranza inattaccabile (63 contro 36) nell’assemblea statale in virtù della concentrazione degli elettori democratici in un piccolo numero di distretti e della distribuzione più uniforme dei sostenitori repubblicani in un numero maggiore di distretti. Quando i democratici del Wisconsin hanno cercato di sfidare questo esempio estremo di gerrymandering, la Corte Suprema ha rifiutato di esaminare il caso.
Il sistema di governo delle minoranze è un cerchio chiuso perfetto. Solo il 29 per cento degli americani si identifica nel Partito Repubblicano, eppure una maggioranza non eletta di sei persone in toga nera – schierati ben più a destra rispetto all’americano medio – ha rimodellato la vita del Paese in un modo che lo stesso Partito Repubblicano non avrebbe mai potuto ottenere attraverso il normale processo politico: proprio quel processo che la Corte finge di sostenere nella sua sentenza sull’aborto.
Nell’immagine: in nero i tre giudici democratici (il rosso negli USA è il colore del partito repubblicano)
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