Allievi ticinesi di Dante Isella a Pavia
L’eredità del grande studioso della letteratura italiana, attivo a Pavia e a Zurigo, nel centenario della nascita
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L’eredità del grande studioso della letteratura italiana, attivo a Pavia e a Zurigo, nel centenario della nascita
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L’eredità del grande studioso della letteratura italiana, attivo a Pavia e a Zurigo, nel centenario della nascita
Dante Isella era per noi una figura – con quella di Maria Corti e Cesare Segre – più volte evocata sui banchi del liceo di Bellinzona da Romano Broggini e Giorgio Orelli: figura che poi avremmo incontrata nella vita apprezzandone le grandi doti di studioso e la sua profonda umanità. I contatti di docenti pavesi col Ticino (a quelli già nominati vanno aggiunti i nomi di Franco Gavazzeni, Luigi Poma, Cesare Bozzetti) erano frequenti fin dal tempo dei seminari letterari organizzati da Padre Giovanni Pozzi nei tardi anni Sessanta presso il Convento dei Cappuccini del Monte Bigorio a Tesserete, appena sopra Lugano. E molte furono le occasioni che portarono Isella in Ticino, dove aveva cari amici e aveva assunto la carica di esperto dell’insegnamento di italiano alla Magistrale di Locarno. Stesso ruolo ebbe Cesare Segre, di fronte al quale sostenni al liceo l’esame di maturità di italiano.
Per chi allora voleva intraprendere gli studi letterari, l’Università di Pavia rappresentava un eccellente approdo naturale. La facoltà di lettere godeva infatti di fama, in Italia e fuori; inoltre, alcuni allievi di Isella di una generazione precedente la nostra erano entrati come docenti validissimi nei Licei cantonali, di Bellinzona e Lugano.
Nel novembre 1974, dunque, in cinque (allievi di Broggini e Giulia Gianella) ci iscrivemmo all’ateneo pavese per studiare lettere. Non eravamo del tutto sconosciuti e, anzi, in qualche modo eravamo attesi; un’attesa che si trasformò nel tempo in un simpatico ma a volte anche imbarazzante controllo: «Ci sono i Ticinesi? Ah, ecco, bene». Interrogativo che ogni tanto cadeva nel bel mezzo delle lezioni di Maria Corti, che accoglieva i Ticinesi sempre con materna apprensione, che era anche la loro.
Seguimmo le lezioni di Isella soltanto l’anno successivo; alle matricole infatti era riservato il corso di ‘Letteratura Italiana I’ tenuto da Luigi Poma. Ho un ricordo nettissimo di due corsi monografici di Isella: uno sulle Poesie portiane, l’altro sui Promessi sposi. Due libri molto amati, quasi sempre presenti anche nelle più povere biblioteche delle famiglie lombarde, quindi pure ticinesi. Il corso sui Promessi sposi aveva un impianto seminariale, con un’appendice facoltativa, di sabato, alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano. Momenti indimenticabili. Nella Sala Manzoniana si lavorava direttamente sugli autografi di Manzoni, a piccoli gruppi, sotto la guida espertissima e attenta di Isella, che ci guidava attraverso manoscritti e stampe. Costituimmo, forse, il primo nucleo di allievi che via via sarebbero stati coinvolti nel grande progetto dell’edizione critica dei vari stati testuali dei Promessi sposi, una vera palestra di metodo e di studio esercitati direttamente sulle carte. Fu proprio in uno di quei sabati di “garzonato universitario” che maturai il proposito di scrivere la tesi sotto la sua guida.
Nella primavera del mio terzo anno universitario, pochi mesi prima che Isella lasciasse la Facoltà di Lettere di Pavia per l’insegnamento al Politenico Federale di Zurigo, presi coraggio e alla fine di una sua lezione di tarda mattinata, dopo aver atteso che tutti lasciassero gli scomodi banchi ad anfiteatro dell’aula VI, mi avvicinai al professore e gli comunicai il mio desiderio di laurearmi con lui. Ingenuamente mi aspettavo un largo sorriso di immediata accettazione. Il sorriso ci fu, ma accompagnato da un risoluto «Venga domani a lezione con il libretto degli esami».
Non senza imbarazzo e timori, il giorno dopo gli consegnai il libretto color cardinalizio. Isella scorse con «azzurra fermezza di occhi di re di Francia» l’elenco degli esami da me sostenuti con i relativi voti. Trascorsero due, tre, cinque secondi: un’infinità. «Bene, venga da me in istituto la settimana prossima». Esame superato e lezione recepita: per entrare nella sua officina, di uomo lontano dalle paludate abitudini accademiche, occorreva infatti un assoluto rigore: non bastava certo la provenienza geografica, seppur guardata con molta amicizia. Isella amava ricordare ai suoi studenti, a quelli a lui più affezionati, che ogni mestiere va fatto bene, con la massima onestà e intelligenza, sia nell’insegnamento che nella ricerca.
Ebbi modo di constatarlo durante il periodo della stesura della tesi di laurea. Dei tre argomenti che Isella mi propose scelsi senza esitazione di preparare l’edizione critica commentata delle Poesie milanesi di Tommaso Grossi. Ne fu contento perché avrei coltivato un frutto nuovo e necessario nel giardino della sua letteratura milanese. Conservo gelosamente quelle pagine dattiloscritte con le sue annotazioni a matita, che dimostrano (come se ce ne fosse bisogno!) quanto la lettura del maestro fosse attenta: severa, anche, ma sempre generosa. Ne discutevamo sul treno che transitava da Lugano, al suo ritorno da Zurigo; condividevo con lui il breve tratto ferroviario fino a Mendrisio, dove scendevamo entrambi: Isella per recarsi a Casciago con la sua Alfa e io per riprendere il treno successivo che mi avrebbe riportato indietro maggiormente consapevole.
Altre volte lo incontravo nella bella casa di Casciago, nello studio al pianterreno che dava sul giardino, o a Milano, in via Romagnosi. Ricordo le conversazioni fatte sulle carte grossiane, soprattutto i suoi consigli, le osservazioni e i suggerimenti, sempre preziosissimi.
La generosità di Isella nei confronti dei suoi allievi si manifestava anche nel favorire la pubblicazione dei loro lavori, se riteneva che lo meritassero. Ricordo di un felice viaggio in automobile, con a bordo Dante Isella, l’editore Vanni Scheiwiller e l’amico Giampiero Costa diretti a Treviglio, dove presentammo le Poesie milanesi di Tommaso Grossi. Isella ha sempre accolto positivamente le mie richieste, anche quando gli chiesi di presentare a Casa Manzoni il Carteggio del Grossi.
Egli era maestro severo, se necessario, ed esprimeva fiducia e affetto più con le azioni che con le parole. Una delle sue grandi qualità, come scrisse Pier Vincenzo Mengaldo, era infatti «quella di saper lavorare per gli altri e con gli altri».
Questo testo, gentilmente concesso a Naufraghi/e dall’autore, è pubblicato nel volume “Luoghi e autori di una vita” delle Edizioni Negri di Varese, che sarà presentato martedì 22 novembre alle 18.00 alla Biblioteca Cantonale di Lugano
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