Il Dante di Pupi Avati – In prima visione internazionale questa sera a Castellinaria
Un’opera ambiziosa quanto rischiosa che riesce a realizzare, nonostante tutto, un ritratto sincero e appassionato del Sommo Poeta
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Un’opera ambiziosa quanto rischiosa che riesce a realizzare, nonostante tutto, un ritratto sincero e appassionato del Sommo Poeta
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Un’opera ambiziosa quanto rischiosa che riesce a realizzare, nonostante tutto, un ritratto sincero e appassionato del Sommo Poeta
Dopo Lei mi parla ancora, Pupi Avati torna alla regia con la più ambiziosa delle opere. Dante è un progetto la cui portata rischia di affossare qualsiasi tipo di trasposizione cinematografica. La messa in scena, anche solo della vita di Dante Alighieri, potrebbe rivelarsi controproducente, in quanto ciascuna sua poesia, poema o scritto filosofico trasuda inequivocabilmente di tutte le sofferenze o le gioie, di tutti i racconti o gli sguardi che il Poeta raccolse durante la propria vita.
Un’impresa titanica, sotto tutti gli aspetti. Eppure, fin dalle primissime sequenze, il film sprigiona l’enorme rispetto e la sincera passione del proprio regista nei confronti del suo protagonista, che protagonista non è a tutti gli effetti. Avati, riprendendo il suo romanzo L’alta Fantasia, il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante, predispone un racconto che segue due direttrici che si inseguono: Boccaccio ripercorre, passo dopo passo, il cammino di fuga che il Poeta, anni prima, dovette compiere in esilio da Firenze. Il viaggio che intraprende l’autore del Decameron ha lo scopo di raggiungere a Ravenna Beatrice, figlia di Dante, per chiederle un perdono, mai concesso al padre, a nome di una città intera. Ma non solo. Boccaccio, durante ciascuna tappa del suo percorso, incontra gli unici testimoni rimasti dell’ultima parte di vita di Dante Alighieri. Solo così, egli sarà in grado di ricostruire la storia della vita del più importante poeta italiano, consegnando il nome di Dante Alighieri al mito eterno.
La ricostruzione storica, linguistica e letteraria realizzata dal regista risulta decisamente accurata.
In questo senso, Pupi Avati si è avvalso del contribuito di numerosi storici e Dantisti che hanno definito nel dettaglio la resa credibile di uno scenario storico così particolare come quello del 1300. Il fetore dei cadaveri delle vittime della peste e le manifestazioni visive delle malattie del tempo sulla pelle di uomini e donne sono i caratteri distintivi che emergono da una messa in scena contenuta e ben ragionata.
Accanto alla storia, però, c’è l’immortale poesia di Dante. “L’unica vera gioia della mia vita”, dice Boccaccio alla figlia del sommo poeta, una volta arrivato a Ravenna. Il Boccaccio di Avati, interpretato da un commuovente Sergio Castellitto, non vede in Dante soltanto un grande poeta, in lui riconosce la figura paterna, l’unico uomo che gli ha insegnato ad amare. Ed infatti il suo viaggio, che in un certo qual modo è anche il viaggio che lo spettatore intraprende seguendo i movimenti della mdp di Avati, acquista i connotati di un pellegrinaggio spirituale il cui fine è riabbracciare un padre conosciuto attraverso la letteratura.
L’immensa riconoscenza di Boccaccio rispecchia, anche e soprattutto, quella del regista che rivendica attraverso la voce di Castellitto tutta la propria gratitudine nei confronti di Dante.
“Riesco ad immaginarlo solo da ragazzo”.
Proprio per questo, nonostante il film sia intriso nella sua essenza della poesia di Dante, i momenti in cui l’immagine si confronta esplicitamente con l’opera dantesca sono pochi. Questi riguardano esclusivamente la giovinezza di Dante (interpretato da Alessandro Sperduti) e il suo rapporto poetico, spirituale e (non) carnale con l’amata Beatrice. Rapporto che Avati presenta sottolineandone i caratteri di morbosità e pulsione erotica, attraverso il ricorso al genere horror. Come abbiamo detto in precedenza, trasferire nelle immagini la potenza di queste parole è davvero un’impresa titanica. E, forse, è proprio nel confronto diretto con la poesia di Dante che la forza sincera delle immagini di Avati perde l’incontro/scontro. Ma questo e qualche passaggio a vuoto di scrittura indeboliscono solo in parte un ritratto assolutamente sincero e appassionato di un regista che ha superato i quaranta film all’attivo ma che sa ancora parlare di amore, forse il più grande mai raccontato.
Il film è in programma al Mercato Coperto di Giubiasco questa sera alle 20.45
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