Il ricandidato Trump è lo sfidante perfetto per i democratici
Debole tra i papaveri repubblicani, The Donald conserva la sua forza nella base dei militanti
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Debole tra i papaveri repubblicani, The Donald conserva la sua forza nella base dei militanti
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Debole tra i papaveri repubblicani, The Donald conserva la sua forza nella base dei militanti
Doveva essere un referendum su Biden. È stato un referendum su Trump. Finito male, come si sa, molto male per l’ex-presidente repubblicano. Il quale non la pensa così, cioè come la gran parte degli stessi esponenti del suo partito.
Oltreché dei commentatori di destra e dei donor conservatori, molto generosi con lui e adesso decisi a cambiare cavallo, un mondo disposto da anni a seguirlo in tutte le sue sregolatezze e infrazioni della legalità.
Ora non più. Basta con il «tre volte perdente», come l’ha definito uno dei suoi principali foraggiatori, il miliardario Ken Griffin: sconfitto nelle presidenziali del 2020, poi nei due ballottaggi in Georgia nel 2021, e infine nelle midterms dell’8 novembre scorso. E ora candidato alla sconfitta nel 2024. Ma Donald Trump non sarebbe stato Trump, se avesse gettato la spugna, dando retta a Griffin e ai tanti ormai ex amici e sostenitori, che – basta vedere FoxNews o le prime pagine del New York Post – ora lo deridono e sbeffeggiano. Aggiungendogli l’oltraggiosa beffa di esibire già un’alternativa, il suo clone Ron DeSantis, il governatore della Florida rieletto con un grande risultato.
Protetto dal suo teflon di arroganza illimitata, Trump ha dunque tenuto fede martedì scorso all’annuncio della sua ricandidatura nel 2024, che aveva strombazzato nei comizi finali per le midterms al fianco dei suoi protégé – molti dei quali clamorosamente battuti – nella convinzione di un’«onda rossa» che avrebbe reso epocale l’evento di Mar-a-Lago. La red wave che avrebbe abbattuto Joe Biden e i democratici aprendogli la strada al ritorno alla Casa Bianca.
Quella strada ora è molto più in salita e tortuosa, nel suo stesso partito. Ma non impossibile. Il più recente sondaggio, di Politico/Morning Consult, lo dà al 47 per cento contro il 33 per cento di DeSantis in un eventuale duello nelle primarie repubblicane 2024. Tuttavia il suo avversario è in testa nei sondaggi negli stati dove si terranno le prime elezioni primarie, Iowa e Georgia. Una corsa aperta. Uno «spettacolo divertente», per dirla con Biden. Uno spettacolo ancora più scoppiettante se in corsa, com’è probabile, entrerà anche Mike Pence, il suo ex-vice trattato come un servo sciocco e disobbediente e ora deciso a vendicarsi con Trump.
Verranno fuori altri racconti e dossier imbarazzanti su The Donald. Lui, intanto, ha già sibilato che su DeSantis ha qualcosa da dire. Un partito di tutti contro tutti, com’è ovvio che sia dopo una sconfitta che è il frutto di anni di veleno trumpista in quello che un tempo era definito il Grand Old Party. Nelle riunioni dei gruppi parlamentari repubblicani volano i coltelli sulle responsabilità di una sconfitta che restituisce il controllo del senato ai democratici, anzi rinvigoriti, e dà al GOP una risicata maggioranza alla camera. Il vaso delle vergogne del trumpismo è colmo e la batosta dell’8 novembre lo sta facendo tracimare.
Per i democratici si apre anche l’inedito scenario di un partito finora asserragliato intorno a Trump, che ha difeso l’indifendibile, mettendosi di traverso rispetto ai due tentativi di impeachment. Gli farà ancora scudo? La terza candidatura presidenziale avviene mentre sono in corso indagini sulle sue attività prima e durante i fatti del 6 gennaio 2021 e per l’illegale detenzione di documenti classificati della sua amministrazione a Mar-a-Lago. La tentazione di mollarlo ai giudici deve essere molto forte tra i papaveri repubblicani, che però devono sempre fare i conti con una base che invece non intende affatto abbandonare il suo beniamino e che è sempre pronta a farla pagare a chiunque si metta apertamente contro Trump.
I democratici hanno uno spazio insperato per consolidare il successo politico conseguito l’8 novembre, nella consapevolezza, non si sa quanto diffusa, che in termini reali è meno roseo: i risultati alla camera dei rappresentanti mostrano che – nel voto popolare – il Partito repubblicano è avanti di quasi 4,5 milioni nei confronti del Partito democratico. Il conteggio finale accorcia la distanza rispetto a qualche giorno fa, ma i quasi 53 milioni di voti GOP, contro i 48,6 milioni dem, sono tanti e colorano di rosso una mappa degli Usa che vede saldamente democratiche le fasce costiere molto urbanizzate e le aree metropolitane, e solidamente repubblicane la vasta parte centrale e le regioni rurali. Fare breccia nell’America «rossa», per i democratici, è ora la grande impresa, non impossibile, per vincere nel 2024, e per poter così consegnare alla storia The Donald e il trumpismo.
Nell’immagine: una delle prime pagine del New York Post (sostenitore di Trump nelle elezioni del 2020) che deridono Trump
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