Aurelio Lio Galfetti, uomo generoso
Castelgrande, Bagno pubblico, Alptransit Ticino... Dietro alle opere, il calore e l'empatia
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Castelgrande, Bagno pubblico, Alptransit Ticino... Dietro alle opere, il calore e l'empatia
Di Luca Bellinelli, architetto
Per certi aspetti – il rigore nella continuità del lavoro, l’umiltà di fronte alle situazioni e ai problemi, la fedeltà ad una interpretazione dell’architettura, la comprensione e il rispetto profondo del territorio – Aurelio Lio Galfetti può considerarsi il migliore fra gli architetti della sua generazione e fino ai giorni nostri. Egli ha avuto la fortuna di lavorare per lunghi anni e a progetti importanti e ci ha lasciato molto su cui riflettere. Lo ha fatto sempre con grande rispetto di ciò che andava a modificare con i suoi interventi, ogni volta in modo originale, rifuggendo da monumentalità e manierismo, ma sempre lungo un cammino ben segnato della sua idea di architettura, senza enfasi, mai ripetitivo, quasi facendo un passo indietro di fronte a se stesso e alle sue opere. Non è da tutti.
Lio Galfetti non era unicamente un eccellente architetto – l’aggettivo “grande” gli starebbe scomodo per indole e per pensiero – nel suo Paese e ben oltre i suoi confini. Egli è stato, forse innanzitutto, un uomo generoso e, di conseguenza, un uomo aperto e tollerante. Non accondiscendente, ma attento alle ragioni e alle opinioni degli altri. Anche questo non è da tutti.
La sua generosità aveva molte facce: vale la pena ricordarne alcune.
Delle sue origini parlava con l’affetto semplice di chi ama le cose essenziali: l’amore per la madre che lo ha allevato quasi da sola; le montagne attorno a Biasca che amava percorrere, ancora in età avanzata, in solitario e in modo estemporaneo; il ricordo degli amici di infanzia e adolescenza che lo avevano accompagnato come una famiglia parallela. Ma parlava anche con generosità di quegli amici colleghi che, lui giovane architetto da Biasca in Lugano, gli “insegnavano” la giusta e unica strada ideologica che avrebbe dovuto intraprendere, e parlava con tolleranza di quella sessantottina intolleranza. Pochi sanno che, per parecchi anni, Lio Galfetti ha fatto parte di una Commissione cantonale, oggi sostituita, ma allora denominata “Commisione cantonale delle bellezze naturali” e responsabile di tutte le domande di costruzione sul territorio ticinese. In quella Commissione succedette a Luigi Snozzi, che pure ne fu figura di spicco per diversi anni, e vi profuse, diligentemente e anche con passione, molte energie. Vi svolse, con la naturale autorevolezza che lo contraddistingueva, una continua e paziente opera pedagogica, con una particolare attenzione al territorio: sempre cercando di far comprendere ai colleghi interlocutori, il perché di richieste di aggiustamenti o di inevitabili rifiuti. In quegli anni si parlava parecchio di piani regolatori, di piano direttore, di impatto territoriale di grandi opere: gli era chiara l’importanza della giustezza di quegli interventi, in particolare riguardo alla linea veloce delle FFS. Non venne sempre ascoltato: la sua era una visione che superava la realtà del momento per proiettarsi nel paesaggio del futuro e quindi fatalmente “irrealizzabile” .
E generosità e entusiasmo lo guidarono nell’accettare di essere il primo direttore della nascente Accademia di architettura, antesignana dell’USI, poiché di accettazione di condizioni improbabili dal profilo logistico e tutte da inventare da quello accademico si trattava. Mancavano gli spazi, mancavano i mobili, mancavano le persone, mancavano anche i mezzi per realizzare tutto e subito. Pazientemente, con infinita umiltà, ma senza modestia, Lio Galfetti vi si adoperò e diede un contributo forse poco appariscente, ma fondamentale alla nascita e alla prima crescita dell’Accademia. Pur in tutte queste ristrettezze egli ascoltò le idee degli altri, ne realizzò talune, chiese la collaborazione di quegli amici che riteneva adatti alla concretizzazione di questa o quella iniziativa, talvolta a costo di scontri anche duri con chi mostrava di non voler sempre comprendere come la riuscita dell’Accademia fosse anche legata alle sue molteplici attività e all’apertura verso architetture e pensieri di altri luoghi.
Delle sue opere già si è scritto molto, un libro è stato presentato pochi giorni fa, altro si scriverà in futuro. Sarebbe bello, oltre che interessante, che si scrivesse pure dell’uomo, della sua innata empatia per il prossimo, del suo saper relativizzare, e anche del calore che emanavano le cene magistralmente cucinate dalla insuperabile compagna Lorenza, e offerte per lunghi anni a tanti amici.
Nell'immagine: Cornaredo, dicembre 2020
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