La fine dell’”ordine liberale” svizzero?
Dopo il “sospiro di sollievo”, ancora tante domande sull’acquisizione di Credit Suisse da parte di Ubs
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Dopo il “sospiro di sollievo”, ancora tante domande sull’acquisizione di Credit Suisse da parte di Ubs
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Dopo il “sospiro di sollievo”, ancora tante domande sull’acquisizione di Credit Suisse da parte di Ubs
“E alla fine si è tirato un sospiro di sollievo”, titola un quotidiano. Sembra la conclusione di un temino delle elementari: alla fine tornammo a casa tutti felici e contenti (ad eccezione, per gentile concessione, di chi si sente traballare il posto di lavoro). Quanto a dire, insomma: mettiamoci ora una pietra tombale sul Credit Suisse, portiamo fiori a Ubs che ci ha salvato e già macina profitti. Con due aggiunte, che sembrano un premio all’assurdità.
La prima è il glorioso annuncio, “arrivato a sorpresa”, all’inizio di agosto, che, considerati i risultati del dopo fusione, si poteva rinunciare alle garanzie miliardarie messe a disposizione dalla Confederazione e dalla Banca Nazionale. Quasi a rilevare che lo Stato tutto sommato era superfluo. O che le garanzie servivano salvare la faccia e non i dipendenti, tuttora in trambusto. Si tace, ovviamente, sul fatto che senza quelle garanzie dello Stato (e si è messo sul tavolo un quarto della ricchezza prodotta in un anno dall’intera nazione!), la ripresa del Credit Suisse da parte di Ubs non ci sarebbe stata, perché troppo rischiosa, e che sarebbe andata a ramengo tutta la fiducia ancora rimasta all’estero sulle banche svizzere. Insomma, anche rimettere a posto la fiducia ha un prezzo… se si ci sono i soldi per pagarlo. È ridicolo scantonare con il dopo.
La seconda è data dal rapporto pubblicato venerdì dal gruppo di esperti economisti sulla “stabilità bancaria”. Verdetto: “le autorità hanno scelto la fusione perché era la soluzione più semplice”. Dice Yvan Lengwiler, docente di economia all’Università di Basilea e presidente del gruppo di esperti: “Non siamo evidentemente sicuri al cento per cento, ma riteniamo che un risanamento (assainissement, del Credit Suisse) sarebbe stato possibile” (intervista a “Le Temps” di venerdì 1 settembre). Ben strana conclusione per degli esperti. Tuttavia, ciò equivale a dire che la Finma, l’autorità di sorveglianza (il gendarme finanziario), risulta debole ed è ora che vada “rafforzata affinché possa adempiere ai suoi doveri come si deve”, “deve poter disporre di forze esecutive”; dovrebbe poter applicare il famoso “name et shame” (nominare e denunciare, in concreto: poter rendere pubbliche le inchieste su istituti e persone sotto inchiesta)… Ma sinora hanno funzionato le lobby finanziarie e i gruppi di interesse, tanto che ”la Finma, [che] è stata incastrata nella legge che la riguarda, può rendere pubbliche le inchieste solo se c’è un interesse enorme”. Quello del Credit Suisse non era quindi di interesse enorme.
Le conclusioni sono dunque perlomeno quattro:
1) la deregolamentazione, insinuatasi dagli anni ’80 su imitazione americana, ha creato di fatto un vuoto giuridico e solo disastri;
2) il mercato, soprattutto quello finanziario, non è razionale, come si pretende, e non riassesta (o risana) per conto proprio le deviazioni che si creano e si presentano;
3) non si può prescindere da un’autorità di vigilanza e di intervento esterna, che disponga di tutte le potestà e di strumenti legislativi necessari ed efficaci, sanzionatori (penalità, multe);
4) il sistema “to big, to fail” (troppo grande per fallire), fattosi politica, è quanto di più incongruente si possa immaginare, sia perché arriva a naufragio imminente o avvenuto e comunque, come nel caso specifico, con la preoccupazione prioritaria di non guastare la stabilità finanziaria mondiale, sia perché si traduce in farsa essendo una palese dimostrazione di inettitudine o contraddizione politica.
Una conclusione generale cui si cerca però si sfuggire in tutti modi è la seguente: la procedura scelta, con l’organizzazione urgente della fusione di due banche e l’estensione delle garanzie rilevanti dello Stato, non hanno niente a che fare con l’”ordine liberale”, caro alla Svizzera e proclamato ad ogni piè sospinto da ambienti politici, finanziari, economici, mediatici. Per vari motivi.
Primo, dal punto di vista della concorrenza (del tanto decantato libero mercato). Nonostante le scuse e le fughe per la tangente che si accampano, si è creata ora una superbanca, un colosso finanziario sovradimensionato. Dovessimo, per delirio di ipotesi, tornare a salvarlo, dovremmo metterci tutto il prodotto interno lordo nazionale per riuscirci. La Finma, autorità di sorveglianza, sulla base della ripartizione delle competenze, potrebbe anche farsi un baffo delle eventuali obiezioni dell’autorità in materia di concorrenza. Vittime designate, consumatori e imprese.
Secondo, dal punto di vista della democrazia, ricorrendo al diritto d’urgenza per salvare una banca, si annulla in pratica il diritto di veto del Parlamento. Si costituisce poi a posteriori una commissione parlamentare d’inchiesta per salvare le apparenze, quando- sempre logicamente e democraticamente- neppure con la crisi annunciata da tempo e tanto meno sotto l’assillo dei mercati, ci si è perlomeno preoccupati del dovere di diligenza (due diligence), di un esame approfondito, né per la Confederazione né per l’Ubs, in quanto futura proprietaria di Credit Suisse.
Terzo, con la fusione giuridica delle due banche, c’è stata una riduzione drastica dei diritti degli azionisti (non consultati), con grossi punti interrogativi sui diritti di proprietà garantiti dalla legge per un titolo svizzero. C’è stato soprattutto l’immancabile accantonamento dei diritti del lavoro dei dipendenti, militi ignoti in questa battaglia.
È rimasta poi una domanda cui non si dà alcun peso, quasi fosse superflua, cosa estranea al pubblico, o domino di chi sa quale altra autorità: come evitare che il cittadino-contribuente sia coinvolto- come di fatto lo è – quando un grande istituto finanziario si trova in difficoltà o in bancarotta? C’è chi ha scritto (e su un servizio stampa “liberale”!): “Solo una risposta a questa domanda permetterà di ristabilire l’ordine liberale in Svizzera” (v. Peter Grünenfelder e Jürg Müller, in avenir suisse, 22 marzo). Rimane chiaro, se ritorniamo alle quattro conclusioni, che ne rimangono comunque altre. E forse non tutti i mali vengono per nuocere.
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