Sulle tracce dei grandi interpreti della musica africana – 2
Youssou N’Dour – La voce ed i suoni del Senegal nel mondo
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Youssou N’Dour – La voce ed i suoni del Senegal nel mondo
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Youssou N’Dour – La voce ed i suoni del Senegal nel mondo
In “Onda su onda” proponiamo, in una serie di contributi, alcune delle tappe più significative dell’emergere della musica africana nel nostro universo estetico: una “scoperta ” della musica dell’Africa subsahariana che ha rappresentato un fatto di grande rilevanza e che ha avuto numerose implicazioni positive, ma nella quale è interessante anche riscontrare limiti, equivoci, visioni di comodo. Che si prolungano fino ad oggi, quando si stenta ad accorgersi che il panorama musicale del continente nero è clamorosamente cambiato, e meriterebbe una drastica “ri-scoperta”.
Le eloquenti immagini del brano di lancio dello spettacolo parigino
Fino a tutti gli anni Settanta la musica africana moderna è presente sulla ribalta internazionale sostanzialmente solo con singoli protagonisti: dagli anni Sessanta gli esiliati sudafricani Miriam Makeba e Hugh Masekela, per il momento conosciuti fondamentalmente negli Stati Uniti, poi Manu Dibango (di cui abbiamo scritto sabato scorso) e il nigeriano Fela Kuti.
Nella percezione internazionale della musica africana, gli anni Ottanta rappresentano un grande passo avanti: la musica africana è la principale beneficiaria dell’inedito interesse per quella che verso la metà del decennio verrà diffusamente chiamata “world music”: ai pochi artisti africani già noti se ne aggiungono molti altri, e per la prima volta la musica africana si affaccia sulla scena internazionale come un grande fenomeno collettivo.
Un po’ per volta si comincia a capire che la modernità di quella che spesso all’epoca viene definita “nuova musica africana” non è frutto dell’iniziativa individuale di qualche singola personalità, ma è il risultato di ampi processi di elaborazione e innovazione in corso già da decenni; e si comincia a cogliere che la “nuova musica africana” non è un tutto unico in cui le varianti sono il prodotto dell’originalità di singoli artisti (c’è peraltro anche questo: per esempio nel caso dell’afrobeat di Fela Kuti, farina del sacco del musicista nigeriano), ma che nella musica del continente nero si possono riconoscere tanti grandi filoni, ciascuno con una sua storia e una sua spiccata identità: musiche africane, dunque, più che musica africana.
Non che manchino gli equivoci: nella sproporzione di status nello star system fra i due personaggi, e in una fase in cui l’egemonia del rock è ancora molto robusta, negli anni Ottanta ci vuole poco a pensare che la modernità della musica di Youssou N’Dour sia il frutto del contatto dell’artista senegalese con Peter Gabriel. In realtà è una modernità che viene da lontano: l’innesco è stato, negli anni Cinquanta/Sessanta, l’infatuazione senegalese per la musica afrocubana. Dopo una forte identificazione, che ha portato a declinare in chiave locale i modelli provenienti dall’Avana, una volta che l’influenza afrocubana è stata metabolizzata fino in fondo è riemersa prepotentemente l’urgenza di una identità locale; tramontato uno stile ritmico ispirato a Cuba, si sono imposti fulminanti ritmi della tradizione di percussioni wolof, l’etnia dominante in Senegal: una tradizione però portata dentro una dimensione musicale ormai risolutamente moderna. Negli anni Settanta è maturato così il mbalax, che ha spopolato in Senegal e del quale Youssou Ndour, quando accede alla ribalta internazionale, è già l’alfiere.
Nella sua proiezione internazionale degli anni Ottanta la musica di Youssou N’Dour ha subito una torsione verso elementi estetici che non sono suoi: il rapporto con Peter Gabriel è stato funzionale alla notorietà di Youssou N’Dour fuori dal suo paese, ma il cantante e leader è presto intelligentemente riuscito ad emanciparsi da una relazione ingombrante. Poi ha gestito oculatamente una politica del doppio binario: album pensati per il mercato internazionale da un lato, con un parsimonioso utilizzo delle percussioni wolof, secondo Youssou N’Dour troppo ostiche per il pubblico europeo e statunitense, e dall’altro album e concerti per il mercato locale e della diaspora, senza compromessi.
A differenza di tanti altri Youssou N’Dour non ha mai pensato di trasferirsi a Parigi, e ha avuto la lucidità di capire che nessuna carriera internazionale avrebbe potuto dargli di più del sostegno e dell’affetto dei senegalesi. Mezzo secolo dopo i suoi esordi, in un panorama musicale che in Senegal e in tutta l’Africa è stato enormemente cambiato dalla diffusione dell’hip hop e delle nuove tendenze in voga tra i giovani, Youssou N’Dour è sempre Youssou N’Dour. Un vero artista nazional-popolare (e un abile uomo d’affari), che non deve pietire il consenso del pubblico francese o statunitense, perché gli bastano i senegalesi, quelli in patria e quelli della diaspora.
Intitolati Le Grand Bal, gli spettacoli di Youssou N’Dour all’Arena di Bercy, a Parigi, una gigantesca struttura da 20mila posti, sono da anni una tradizione per la comunità senegalese in Francia e si sono tradotti anche in diversi Cd e Dvd live. Dopo lo stop per la pandemia, la tradizione è ripresa nel giugno scorso: tre ore di spettacolo, ovviamente con Bercy sold out.
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