Bacchette di ieri e di oggi
Divagazioni musicali di un dilettante
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Divagazioni musicali di un dilettante
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Tra i pochissimi direttori d’orchestra che già a 27 anni possono vantare lo status di star in tutto il mondo c’è Klaus Mäkelä. Un volto e un fisico da divo del cinema, certo, che cattura gli sguardi ma che, per il momento almeno, non li ha prestati alla pubblicità come la sua collega – luganese d’adozione – che, tra un concerto e l’altro, è chiacchierata ambasciatrice di un noto prodotto contro la caduta dei capelli.
Una rapida scorsa al sito ufficiale di Mäkelä basta per farsi un’idea. E se qualcuno dubitasse dell’oggettività di un sito ufficiale, la sua statura artistica mi è stata confermata da vari amici musicisti.
Il giovane finlandese era, venerdì sera, ospite al LAC di Lugano, alla testa dell’ Orchestre de Paris, di cui è direttore musicale da meno di due anni dopo che l’avevano guidata, in passato, veri e propri giganti chiamati von Karajan, Solti, Barenboim e Järvi. In programma due brani particolarmente complessi ed impervi di Rachmaninov e Šostakovič: solista la pianista Beatrice Rana.
Personalmente ho visto Mäkelä, lo scorso autunno, giocare in casa, nel meraviglioso auditorio che è la Philharmonie di Parigi, progettato da Jean Nouvel una quindicina d’anni dopo il KKL di Lucerna: questa spettacolare sala da concerti (sinfonici, ma anche jazz e world) è la perla della cosiddetta Cité de la Musique, una delle ultime (risale al 1995) grandi opere in ambito culturale e artistico che hanno mutato il volto della Capitale francese dando lustro ad almeno tre Presidenti (Pompidou, Chirac e Mitterrand) e ridando lumière – nella fattispecie – a un arrondissement periferico, il XIXème, tra i più degradati e socialmente complessi.
Immaginate la sorpresa quando ho scoperto che il recentissimo CD di Mäkelä (Stravinski, DECCA) e della sua Orchestra, pubblicato il 24 marzo, contiene la registrazione dal vivo del Sacre du printemps, effettuata proprio quel giovedì 6 ottobre in cui, con un gruppo di ticinesi, anch’io sedevo tra il pubblico della sala parigina, inaugurata nel 2015 e costata poco più di mezzo miliardo di euro. Una sala che, da sola, vale il viaggio e che, con i suoi 2400 posti, è uno spazio accogliente e democratico (anche nel prezzo dei biglietti, il più costoso a 62 euro, ma con quasi infinite agevolazioni per giovani, anziani, addetti ai lavori, membri di associazioni d’ogni genere). Una cittadella all’interno della Cité che diventa, a sua volta, cittadella musicale accessibile e trasversale nella metropoli.
Mentre, da non specialista, scrivo del brillante giovane direttore baltico, il pensiero va a un suo collega molto meno noto, Yurii Leonydovich Kerpatenko, il cui ricordo resterà legato più alla sua morte, lo scorso ottobre, che alle sue esibizioni. Aveva 56 anni e dirigeva dal 2000 la Gileya Chamber Orchestra di Kherson, in Ucraina, Paese di cui era cittadino. Non risultano sue registrazioni discografiche o importanti tournées all’estero. Nulla in confronto allo star system di cui anche Mäkelä è parte. Kerpatenko si era limitato a dire di no agli occupanti russi della sua città, che gli avevano chiesto di suonare e che avrebbero utilizzato questo concerto per dimostrare che la convivenza tra popolazione locale ed esercito russo non era quella descritta da Kyjv e dai media occidentali. Kerpatenko pagò il rifiuto con la vita: venne ucciso, pochi giorni dopo, in casa sua, a fucilate.
Quanto accaduto a Kerpatenko ricorda un analogo episodio di tracotanza e violenza che risale del 14 maggio 1931, di cui fu oggetto Arturo Toscanini (1867-1957): la famosa scazzottata in cui il grande direttore d’orchestra parmense venne preso a schiaffi da un gruppo di squadristi all’uscita dal Teatro Comunale di Bologna poiché si era rifiutato di eseguire l’inno fascista Giovinezza e la Marcia Reale.
Toscanini, di idee socialiste, che nel 1919 si era anche candidato, insieme a Mussolini stesso e a Marinetti, sulle liste dei Fasci italiani di combattimento, senza venire eletto, abbandonò il Fascismo sin dalle prime derive. Disse di no anche al Festival di Bayreuth in Germania (pur continuando ad amare moltissimo Wagner) e a quello di Salisburgo, preferendo Lucerna. Il suo status di star planetaria lo costrinse a fuggire, dapprima in Palestina, poi negli Stati Uniti, ma gli permise di salvare la pelle. E la dignità. Quanto a quella del celebre Von Karajan, altra storia, altra bacchetta.
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