Caos in Israele, le radici del male
Mai così lacerato e diviso nella sua storia, fiumi di manifestanti democratici contro la riforma della magistratura con cui Netanyahu vuole anche salvare sé stesso
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Mai così lacerato e diviso nella sua storia, fiumi di manifestanti democratici contro la riforma della magistratura con cui Netanyahu vuole anche salvare sé stesso
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Mai così lacerato e diviso nella sua storia, fiumi di manifestanti democratici contro la riforma della magistratura con cui Netanyahu vuole anche salvare sé stesso
L’”unica democrazia del Medio Oriente”, come ama spesso definirsi, conosce così la crisi più grave della sua storia e questo grazie proprio a un vigoroso soprassalto… democratico. Fiumi di manifestanti che da mesi scendono nelle piazze per contestare la progettata riforma della magistratura: revisione brutale, che non solo depotenzierebbe (in un paese senza Costituzione) i poteri della Corte suprema, addirittura la annichilirebbe, cancellerebbe la divisione dei poteri, porrebbe i giudici sotto tutela di parlamento e governo in carica, che ne possono bloccare le sentenze, quelle sui palestinesi e sugli ultra-ortodossi esenti dal servizio militare. E annullare la decisione di processare il premier Benjamin Netanyahu per corruzione e abuso di potere.
Per salvare sé stesso, dice lo scrittore David Grossman, “Bibi” non si preoccupa di portare la nazione alla rovina. Già due anni fa (sconfitto elettoralmente da una problematica coalizione di schieramenti troppo diversi) aveva lasciato Israele nel disastro: una (obiettiva) sconfitta militare nell’ennesimo scontro ‘missilistico’ con i fondamentalisti islamici di Hamas padroni di Gaza, e violenti scontri, come mai in passato, nelle cittadine e nei villaggi interetnici, con moschee e sinagoghe in fiamme.
Per riconquistare lo scorso novembre la poltrona di capo del governo, e rafforzare il suo personale record di premier più longevo dello Stato ebraico, l’intramontabile “Bibi” (figlio della storica “corrente riformista”, la più intransigente del progetto sionista) si era alleato con il peggio della politica israeliana di destra estrema: con Bezolel Smotrich, campione della politica coloniale e identitaria, e soprattutto con Itmar Ben Gvir, seguace di un rabbino autore della strage anti-palestinese sulla tomba dei Patriarchi a Hebron, fondatore di un partito messo fuori legge per ideologia razzista e progetti di totale colonizzazione di Giudea e Samaria. Inoltre, Ben Gvir, che era tenuto sotto controllo dai servizi segreti dello Sin Bet, mentre oggi è ministro della sicurezza.
Il disastro era dunque più che preannunciato. Ora, sotto la pressione della piazza democratica, ma anche di ministri dissidenti, di molti riservisti, del capo dello stato Herzog, Netanyahu, superando le minacce degli esagitati partner di governo, promette di congelare il progetto anti-magistratura. Un passo indietro rispetto al baratro. Che tuttavia rimane lì, vicinissimo. E che dovrebbe spingere Israele a una riflessione urgente sulla sua natura. Ancora più necessaria. Ma finora sempre elusa.
Scritto per La Regione
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