C’è disagio e disagio
Gli autonomi devono sparire; gli altri vanno capiti e tollerati
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Gli autonomi devono sparire; gli altri vanno capiti e tollerati
L’Assemblea del Centro Autogestito del pomeriggio era chiamata a discutere dello sfratto dal Macello imposto ai “molinari” dal Municipio cittadino, e l’ha fatto pacificamente: ribellione, nessun dialogo, oppure, seguendo la “vecchia guardia”, provare a discutere?
La sera stessa, centinaia di giovani senza alcun obiettivo né politico, né ideale, né pratico se non quello di ritrovarsi per passare del tempo insieme, contro ogni regola e norma sanitaria, mangiando e bevendo hanno infine accolto l’arrivo delle forze dell’ordine con il lancio di oggetti vari; un’aggressione, è stato detto, che ha sconvolto non pochi presenti e testimoni e che ha fatto dire al sindaco Borradori che si tratta di “fatti raccapriccianti”.
Nei commenti che sono seguiti ai due episodi c’è un termine che torna costante e che potrebbe anche accomunarli: disagio. Termine discutibile, certo, come afferma qui, a proposito dei fatti della Foce, Ilario Lodi. Ad ogni modo, forse non del tutto propriamente, proviamo a tenerlo presente per un momento.
Nel caso dell’assemblea degli autogestiti si potrebbe dire che siamo di fronte ad un disagio che ha forti, magari anche estreme, connotazioni “politiche”: è un disagio che si fonda su posizioni e orientamenti consapevolmente “antagonisti” rispetto ad un’idea ed una pratica, appunto, di politica e di “socialità”; è un disagio che affonda le proprie radici, consapevolmente o meno, nella storia e nelle storie di contestazione, opposizione, ribellione, nei confronti del cosiddetto “ordine costituito” nelle sue multiformi rappresentazioni: dal capitalismo, al patriarcato, dal potere della finanza, alla politica di accoglienza, dalle discriminazioni razziali alla violenza sulle donne, ecc. ecc.
Nel caso degli scontri alla Foce ci troviamo di fronte ad un disagio che si esprime, in un certo senso, “spontaneamente”, risultato di una condizione di “reclusione” dato dalla pandemia, ma anche, e più in generale, di un generico disorientamento verso tutto quello che non appartiene al proprio ristretto ambito personale, privato, dentro cui, come in un bozzolo autoreferenziale depressivo, tanti giovani si ritrovano oggi prigionieri.
Due facce diverse del disagio giovanile, che è un fenomeno sociale ampiamente studiato, mutevole eppure uguale a sé stesso ed in alcune “estreme” sue manifestazioni.
Un fenomeno che può anche apparire contraddittorio, certamente complesso e sfuggente, ma che a Lugano, per bocca del sindaco, viene curiosamente distinto, nelle sue due facce, molto chiaramente: gli scontri con la polizia dell’8 marzo alla stazione, sono la goccia che ha fatto traboccare il vaso: basta con i “molinari”, venti giorni per sloggiare dal Macello. Via! (Fö di ball!)
E si chiude anche la Foce? Ma no, non ha senso, ti dice il sindaco (lo stesso sindaco, beninteso), chiudi la Foce e te li ritrovi alla pensilina o da un’altra parte. Non si risolve il problema.
Dunque: in un caso devono sparire, volatilizzarsi se possibile, e nell’altro vanno capiti e tollerati, soprattutto perché non ci sono alternative valide?
Aiuto, qualcuno mi faccia capire.
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