Ci sono ancora troppe incognite sui Mondiali di calcio in Qatar
I lavori di preparazione sono in netto ritardo, le incertezze che riguardano lo Stato di diritto spaventano, ma la Fifa fa finta di niente
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I lavori di preparazione sono in netto ritardo, le incertezze che riguardano lo Stato di diritto spaventano, ma la Fifa fa finta di niente
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I lavori di preparazione sono in netto ritardo, le incertezze che riguardano lo Stato di diritto spaventano, ma la Fifa fa finta di niente
Alla metà di giugno il termometro ha sfondato i cinquanta gradi, dato senza precedenti in questa stagione persino per un fazzoletto di deserto abbrustolito dal sole per dieci mesi l’anno. Ma a circa 140 giorni dal via del mondiale di calcio, non è questo record che tiene il Qatar in apprensione. Nella lista delle preoccupazioni il riscaldamento globale non è certo ai primi posti. Se poi immaginiamo che l’aria condizionata sparata a manetta dentro agli otto favolosi stadi confezionati per la Fifa consente di vivere a 22 gradi fissi anche col caldo scorticante, si capisce che le paure siano altrove.
Da quando nel 2010 la Fifa assegnò il mondiale a sorpresa – e tra molte controversie – al piccolo Paese affacciato sul Golfo Persico, Doha ha assistito a una straordinaria trasformazione culturale e fisica. L’emiro Al Thani ha fatto una sorta di all-in sul tavolo della Coppa del Mondo per trasformare un’oasi nel deserto in una potenza economica mondiale. La piccola popolazione locale (circa 300mila persone), ha spalancato le porte – e la casse – a investitori, professionisti e manodopera di ogni latitudine, fino a diventare un melting pot da 2,8 milioni di abitanti. Un Paese costituito da expats per l’80%.
Il calcio d’inizio, Senegal-Olanda all’Al Thumama Stadium, il 21 novembre, dirà se la scommessa avrà pagato o meno. L’euforia per l’evento che si respirava a Doha fino al 2020 si è però affievolita. La congestione di “prime volte” ha creato invece uno stato d’ansia percettibile. Primo mondiale in Medio Oriente. Primo mondiale in uno Stato di appena 11mila chilometri quadrati. Primo giocato in inverno. Primo disputato in un luogo che proibisce alcol e condanna le effusioni pubbliche.
La sfida più rischiosa riguarderebbe la logistica. L’impatto di 1 milione di potenziali visitatori può scatenare il caos. A questo proposito il governo qatarino ha ottenuto – con discrezione – l’appoggio di quello del Marocco, che invierà ben 7mila militari con il compito e l’autorità di mantenere l’ordine pubblico. L’Italia spedirà alcune centinaia di carabinieri e supporto tecnologico. Altri Paesi arabi ed europei seguiranno.
Le incognite sono evidenti. I costi favolosi di biglietti aerei e hotel inducono molti aspiranti spettatori a scegliere rotte alternative. Atterrare su Ryad e guidare qualche ora è una di queste. Certo, gli aspiranti non sanno che in Qatar studiano un blocco del confine con l’Arabia Saudita (e parcheggio obbligatorio) con la creazione di una rete di navette per evitare ingorghi.
La congestione stradale e l’assenza di certezze del numero di posti letto disponibili o di luoghi in cui mangiare, sono gli incubi più ricorrenti. Si pensa al rastrellamento di grandi navi da crociera ma anche alla costruzione di villaggi di tende nel deserto per consentire una full immersion dei visitatori nella cultura locale.
Una cosa è sicura, in Qatar si entrerà solo con in tasca un biglietto per una partita e il portafoglio gonfio. Il mondiale sarà spettacolare ma non popolare. Uno show per fortunati, tutti accuratamente selezionati e ben monitorati grazie a un imponente organo di sorveglianza. La posta in gioco è alta, ancor più dopo le beghe interne legate al blocco politico che ha isolato il Qatar dai sauditi nel 2019, e poi ovviamente per colpa del Covid.
Perlustrando la penisola ci si rende conto che molti lavori non saranno conclusi in tempo. Un rappresentante del Comitato Organizzatore che preferisce mantenere l’anonimato spiega: «La crisi politica ha avuto un contraccolpo economico. Molti manager stranieri sono stati licenziati per risparmiare sui salari, progetti disegnati da professionisti europei e americani, sono stati affidati a maestranze non qualificate e con scarsa esperienza. Il risultato? Ritardi e caos».
La crisi ucraina, e la conseguente nuova primavera per i possessori di riserve di gas come il Qatar, ha riportato fiducia. Ma il tempo perso per strada è irrecuperabile. Il timore che qualcosa possa andare storto serpeggia. Le regole d’ingresso relative allo status vaccinale non inducono a una visione rosea.
Il Qatar, infatti, non riconosce – tra gli altri – il green pass europeo ma pretende per ciascun visitatore l’adesione all’ehteraz, il programma nazionale di tracciamento che impone una condivisione di dati personali, una registrazione al database locale e la ricezione di un’approvazione vera e propria senza la quale non è neppure possibile entrare in uno shopping mall. Cosa succederebbe a novembre di fronte a un aumento di casi Covid?
Che il Qatar e la stessa Fifa si stiano giocando tanto è comprensibile. Nel caso della Fifa forse in gioco c’è il futuro stesso dell’organizzazione, se è vero che il suo Presidente, Gianni Infantino, con una decisione senza precedenti, ha deciso di spostarsi a vivere con la famiglia proprio a Doha.
Come se non bastassero queste incertezze, sul Qatar si è abbattuta pure la maledizione del calcio italiano: la mancata qualificazione della nazionale azzurra ha comportato un grave danno economico. «Le tante aziende italiane presenti a Doha – spiega l’Ambasciatore Alessandro Prunas – stavano preparando molti eventi legati a questa occasione unica. Occasioni per creare incontri e legami d’affari. Oltre al dispiacere personale per i tanti tifosi degli azzurri che vivono qua, non solo italiani, ci saranno ripercussioni economiche».
E pensare che nel settembre 2021 Roberto Mancini aveva trascorso a Doha una settimana assieme al suo staff, per scegliere il resort dove avrebbero dovuto alloggiare gli azzurri (e bruciare sul tempo i francesi…). Poi Jorginho ha sbagliato il rigore contro la Svizzera.
Come prova generale per capire limiti e ombre del sistema organizzativo, il Qatar poche settimane fa, in occasione dello spareggio di accesso al Mondiale tra Australia e Perù – partita secca all’Al Rayyan Stadium – ha praticamente regalato un pacchetto viaggio a circa 10mila peruviani che hanno colorato per giorni le strade bollenti della città. A parte qualche problema agli ingressi nei gate (servizi di sicurezza severi, vengono requisite e distrutte le sigarette, ad esempio) tutto è andato “ufficialmente” bene. Ma 10 mila tifosi non sono certo i 200 mila di media che sono attesi nelle prime settimane di torneo.
E poi, naturalmente, c’è da tenere a bada l’incessante campagna sulle violazioni dei diritti umani, cui il Qatar è soggetto dal giorno in cui ottenne il Mondiale di calcio. In questi 12 anni la qualità di vita delle maestranze impegnate nelle centinaia di cantieri – non solo legati alla Fifa – è migliorata sensibilmente. La kafala, la pratica illegale di importare lavoratori privandoli del passaporto per utilizzarli in condizioni di lavoro disumane, è stata abolita per legge.
Sempre per legge è vietato fare lavori all’aperto nelle ore più calde del giorno. Il numero di aspiranti operai provenienti da Paesi in via di sviluppo (India, Bangladesh, Afghanistan, Uzbekistan) aumenta. Le condizioni generali in fatto di diritti umani hanno parecchi margini di miglioramento. Ma a forza di organizzare eventi sportivi internazionali – e ora il Mondiale – attraendo occhi stranieri, il processo sembra avviato nella giusta direzione.
I feroci attacchi da parte dei media principalmente anglosassoni, olandesi o danesi, pur essendo meritevoli, sono foglie di fico. Altrimenti non si spiegherebbe perché Boris Johnson ha appena accolto con euforia l’investimento di 10 miliardi di sterline da parte dell’emiro Al Thani nella sanità britannica. E neppure come l’Olanda abbia dato l’ok al proprio fondo pensionistico APG, di entrare nel fondo sovrano Qatari Diar, a capo di un colosso immobiliare da 250 miliardi di dollari. Immobili costruiti anche grazie alla mano d’opera d’importazione.
La verità è che il Mondiale di calcio, così come l’Olimpiade – in Russia, Cina, Brasile o Qatar – è principalmente una formidabile occasione politica per pochi e un’opportunità economica per i soliti noti. E in questo scenario la storia dei diritti umani, finisce quasi sempre sullo sfondo e presto dimenticata.
Alla fine conteranno le acrobazie di Cristiano Ronaldo o di Kylian Mbappè. L’emiro del Qatar, così come Gianni Infantino, spera vivamente che le gesta dei campioni, caldo record a parte, saranno le uniche da consegnare alla storia.
Nell’immagine: Quatar, 26 giugno 2022, ore 12.00 – Temperatura: 48°
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