E se parlassimo una volta tanto di merda?
Divagazioni e riflessioni intorno ad un tema più sottaciuto che esplicitato: eppure così cruciale e inalienabile.
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Divagazioni e riflessioni intorno ad un tema più sottaciuto che esplicitato: eppure così cruciale e inalienabile.
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Divagazioni e riflessioni intorno ad un tema più sottaciuto che esplicitato: eppure così cruciale e inalienabile.
Ecco sul ripiano di una libreria in escursione romanda un volume tentatore: “Une vielle histoire de la merde”, di Alfredo Lopez Austin, con illustrazioni di Francisco Toledo (Le Castor Astral-Cemca). 128 pagine dedicate a quel prodotto; tutte serie e documentate, rivestite di cultura mesoamericana, dal periodo preispanico sino ai nostri giorni; protagonista quella sostanza maleodorante, in particolar modo sotto l’aspetto medico. Dominante il principio del “similis similibus”: porre rimedio all’uomo mediante l’uomo o con ciò che riscontra più simile nei suoi simili. Quindi, che c’è di meglio della merda fresca contro il morso di serpenti, della merda secca di pecora contro la gonorrea, della merda di tacchino mischiata ad alcool per liberarsi dagli allucinogeni…E costruita attorno, quasi inconsapevolmente, si sviluppa tutta una economia sanitaria con una domanda, elevatissima, spesso questione di vita o di morte, che non trova offerta diversa da quella di valorizzare il prodotto più comune a tutti, naturale, abbondante, istantaneamente riciclabile.
A ben pensarci, che c’è di nuovo? Per gli antichi egizi il culto del Dio creatore non era forse incarnato nello scarabeo coprofago che usa palle di escrementi per nutrirsi e nidificare ed è spesso sovrastato dal cerchio del Sole nascente (che non è forse una palla di sterco)? Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia” (I sec. d.c.) non ci elencava forse i farmaci derivati dallo sterco di esseri viventi?
Come non vederci, poi, senza ridere, una lezione ed anche una logica perfetta per quell’economia circolare che vorremmo difendere nei nostri giorni? Oggi abbiamo convogliatori e depuratori di merda che ci restituiscono liquami o fanghi che diventano concimi. E’ così che il circolo si chiude e ricomincia. Dalla merda rinasceranno erba, fiori e grano, come canta quel tale.
Non è però è tutto rose e fiori. E’ stato calcolato, ad esempio, che la merda del bestiame contribuisce nella misura del 14.5 per cento (quale precisione!) alle emissioni di gas serra. Dovessimo rinunciare a quella merda, dovremmo essere pronti non tanto a eliminare milioni di bovini, quanto la carne di manzo, di vitello, di vitellone, di scottona, il latte, i formaggi e via dicendo. Per non dir dei maiali. Non si risolve il problema neppure diventando tutti vegetariani o vegani. C’è chi è all’opera per inventare un sistema robotizzato, pratico, con sensori tecnobiologici ultrasensibili da applicare ad ogni mucca per almeno ridurre dal 14 al 2 per cento quelle emissioni riciclando poi il tutto. Insomma, una sorta di catalizzatore. Sembra sia fattibile ma piuttosto costoso, soprattutto in termini di applicazione e manutenzione. E bisognerebbe dirottare miliardi dall’esercito all’agricoltura, cosa difficilmente fattibile in questo momento in Svizzera. C’è chi suggerisce semplicemente una moltiplicazione all’infinito di scarabei coprofagi e non è un’idea da scartare.
E questa non me la lascio scappare: immaginiamoci che circa cinquant’anni fa, quando un granconsigliere socialista, Paolo Poma (di recente scomparso) portava apocalittico una provetta in Gran Consiglio con un liquido nero e maleodorante (di certo un residuato di quasi-merda) prelevato dal “suo” lago, invitando finalmente a investire milioni (in un Ticino che già si diceva sovraindebitato)… per liberare le sue acque dalla merda e fosse prevalso un Tizio (dategli il nome che si sa) e un partito (dategli un nome che si sa ) per dire che no, la vera merda sta solo nello squilibrio del bilancio pubblico, che bisogna dapprima pulire e pareggiare i conti inquinati dall’incoscienza dello Stato e il popolo, che ha sempre ragione, l’avesse seguito e approvato in votazione….: dove ci troveremmo ora, più di quel che già siamo “emmerdé”(come dicono i francesi) o “immer-da” (come dicono i tedeschi)?
Scopro, con curiosità estiva, che in una frazione vicino all’ammirevole Piacenza, Campremoldo Sopra, esiste un caso forse unico dove c’è un Museo della Merda e la merda è elemento base e fattore amalgamante di arte, zootecnia, economia circolare. Perdipiù in un castello del XII secolo. Centocinquanta tonnellate di sterco prodotto dai bovini fanno il miracolo, che va dalla produzione di biogas, all’energia elettrica, alla “merdacotta”, un brevetto grazie al quale si può realizzare una varietà di oggetti artistici e di arredi. “Perché buttarla se puoi riusarla?”, è l’insegna che vi domina. Dallo scarto più povero e rivoltante al mondo, le relazioni tra natura (i batteri), fisiologia umana, arte, industria (gasometri), economia circolare, si intrecciano e si sovrappongono in una fecondità di pensieri che vanno dalla storia, alla religione, alla filosofia, alla scienza, al futuro possibile ed auspicabile dell’economia. Insomma, viva la merda! E, soprattutto, considerato che abbiamo castelli e bovini in abbondanza e necessità di rinverdire l’attrazione culturale e turistica, non può essere una buona proposta per il museo del territorio che forse verrà o per l’avvenire culturale e turistico del Cantone?
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