Clima: gli attivisti non violenti non devono essere criminalizzati
Più di 400 ricercatori hanno sottoscritto un appello a sostegno di chi manifesta contro il cambiamento climatico
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Più di 400 ricercatori hanno sottoscritto un appello a sostegno di chi manifesta contro il cambiamento climatico
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Più di 400 ricercatori hanno sottoscritto un appello a sostegno di chi manifesta contro il cambiamento climatico
Quali accademici impegnati nella ricerca sui cambiamenti climatici e ambientali, siamo stati incoraggiati nel vedere negli ultimi anni nella politica e nella società una maggiore attenzione per il clima. Considerata l’attuale traiettoria del cambiamento planetario, tale attenzione è benvenuta, anche se l’azione è ancora insufficiente. Sappiamo che da sola la nostra ricerca non è bastata per questa recente presa di coscienza che per l’umanità il collasso climatico è una crisi esistenziale e riconosciamo che i movimenti di protesta in tutto il mondo hanno lanciato l’allarme.
I manifestanti sono riusciti a convincere pubblico, media e politici a prestare attenzione al cambiamento climatico. Hanno identificato e cercato di delegittimare gli attori (industriali, finanziari e politici) responsabili delle emissioni di gas serra e della distruzione degli ecosistemi. Dagli Scioperi per il clima degli studenti al Sunrise Movement, all’Extinction Rebellion e a molti altri gruppi, come i movimenti indigeni a difesa dell’acqua e della terra, attraverso la disobbedienza civile non violenta gli attivisti hanno convinto città e Paesi di tutto il mondo a dichiarare emergenze climatiche, bloccato infrastrutture inquinanti e creato un consenso politico a favore di un cambiamento trasformativo, come il Green New Deal.
Oggi però, in tutto il mondo, coloro che con le loro voci e i loro corpi segnalano l’allarme, mettendosi in gioco, sono minacciati e messi a tacere dai Paesi stessi che cercano di proteggere. Siamo davvero preoccupati per la crescente criminalizzazione dei manifestanti per il clima e per come in tutto il mondo vengono sempre più spesso presi di mira.
Oltre alla draconiana proposta di legge inglese su polizia, crimine, giudizio e tribunali (Police, Crime, Sentencing and Courts) che cerca di criminalizzare la protesta non violenta nel Regno Unito, sviluppi preoccupanti si registrano altrove, dalle nuove leggi che in diversi Stati americani minacciano i manifestanti non violenti con lunghe pene detentive, alla nuova Legge sul terrore proposta nelle Filippine che minaccerebbe gli attivisti del clima, alle leggi contro i manifestanti in Francia, all’arresto e all’imprigionamento di scioperanti per il clima come Disha Ravi in India, infine ai casi in cui aziende che operano nel ramo dei combustibili fossili prendono di mira gli avvocati per i diritti ambientali Steve Donziger negli Stati Uniti, Andy Gheorghiu in Canada e molti altri a livello globale.
Questo naturalmente si somma alla già pericolosa situazione di molti attivisti ambientali e di difensori indigeni della terra, specialmente nel Sud del mondo.
Con l’imminente Conferenza dei Paesi firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP26) di Glasgow e la sempre maggiore urgenza di un’azione globale poiché il riscaldamento globale raggiunge già 1,2°C, il 2021 è un anno decisivo per le politiche del clima. È ormai evidente che i governi non agiscono in ambito climatico senza la pressione della società civile: minacciare e mettere a tacere gli attivisti sembra quindi essere una nuova forma di rifiuto antidemocratico di agire sul clima.
Noi, sottoscritti, esortiamo perciò i governi, i tribunali e gli organi legislativi di tutto il mondo a mettere fine e abrogare i tentativi di criminalizzare la protesta non violenta sul clima.
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