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USA – Cina, la guerra di Biden
Naufragi

USA – Cina, la guerra di Biden

Seimila miliardi di investimenti pubblici chiudono l’era reaganiana; il ritorno dello Stato per competere con il gigante asiatico


Aldo Sofia
Aldo Sofia
USA – Cina, la guerra di Biden
• 3 Maggio 2021 – Aldo Sofia
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Seimila miliardi di dollari. Seimila miliardi di aiuti e investimenti pubblici. Seimila miliardi – per citare Frédéric Koller – con cui in soli cento giorni di presidenza, “Joe Biden ha simbolicamente chiuso un’era durata quarant’anni: quella del neo-liberismo”. Conclusione troppo categorica? Le incognite sul piano realizzativo sono in effetti ancora numerose: la fragilità dell’indispensabile maggioranza parlamentare (un solo voto in più al Senato), l’incertezza delle prossime ‘midterm elections’, la reazione delle potenti lobby private e dei settori produttivi privilegiati, gli interrogativi sulle possibilità di convincere e ‘contaminare’ buona parte del sistema capitalista, i profondi cambiamenti nel mondo del lavoro. Si apre dunque un percorso ancora tutto da scoprire e realizzare. È tuttavia innegabile che, ideologicamente e operativamente, il 46.mo capo della Casa Bianca opera uno straordinario rovesciamento di paradigma. Keynesiano o rooseveltiano che sia.

“Lo Stato è il problema”

Era l’inizio degli Anni Ottanta. L’avvio della “rivoluzione conservatrice” avveniva sotto l’impulso di Margaret Thatcher (“la società non esiste”, come dire esistono solo le individualità) e di Ronald Reagan (“lo Stato è il problema, non è la soluzione”). Tagli alle tasse  dei più ricchi, secondo l’illusorio principio del “trickle down”, cioè del benessere dei più abbienti che sarebbe “sgocciolato” su tutto il resto della società; “deregulation” per lasciare il massimo di libertà a finanzieri e imprenditori, quindi il sempre invocato mantra della ‘mano invisibile del mercato’ (fermandosi a una versione mutilata e volutamente fuorviante del noto aforisma di Adam Smith); forte indebolimento delle rappresentanze sindacali; tagli al welfare; privatizzazione dell’istruzione ‘di qualità’ (l’indebitamento degli studenti universitari negli Stati Uniti è una ‘bolla’ esplosiva oltre che un regresso democratico); progressivo  e insostenibile aumento delle disuguaglianze; costante depauperamento delle classi medie; tutte premesse su cui infine costruire la nuova e de-regolamentata globalizzazione. Effetti nefasti poi finiti nel comodo e facile imbuto populista di Donald Trump, presunto anti-establishment e anti-élite che aveva nel proprio governo il più alto numero di miliardari della storia americana.

Il ritorno dello Stato

Spinto anche dalle conseguenze socio-economiche dirompenti della valanga pandemica, quindi da uno ‘stato di bisogno, Joe Biden rovescia il dogma reaganiano, quindi “lo Stato è la soluzione, e non il problema”. È quanto dicono i seimila miliardi che si propone di erogare, pacchetto di investimenti pubblici senza precedenti in tempo di pace. Finanziato da una riforma fiscale che diminuisce le tasse della classe media (fino a 400 mila dollari di reddito),  e aumenta quelle delle imprese e del famoso 1% dei più ricchi del paese (che controlla il 40 per cento della ricchezza nazionale), oltre all’annunciato proposito di varare  un’imposta del 20% alle multinazionali che oggi eludono il fisco stabilendo il proprio quartier generale in Paesi fiscalmente molto ‘ospitali’ (per non essere soggetti a tasse nelle singole nazioni dove fanno profitti).

Due nuovi modelli di Stato

Probabilmente – per citare ancora Frédéric Koller, giornalista noto esperto dell’Asia – la strategia di Biden è alimentata anche dal fatto che “la prima potenza mondiale si scopre fragile, avverte la minaccia di un declassamento”, e, nel giro di un ventennio, rischia di non pesare più come in passato sulla governance mondiale. Il competitor si chiama Cina. E Biden lo chiama pubblicamente in causa. Ascoltiamolo:

“Dopo la mia elezione ho discusso per due ore con Xi Jinping: è molto serio quando afferma di voler fare della Cina la nazione più importante. Pensa che la democrazia non potrà più fare concorrenza ai poteri autocratici nel 21.mo secolo. La ritiene troppo lenta nell’ottenere il consenso”

Biden si propone di smentirlo. Sembra convinto che non essendoci più il confronto capitalismo-comunismo, la nuova cesura in questo secolo sarà fra due capitalismi di Stato: uno democratico, l’altro autoritario. Tertium non datur?






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Aldo Sofia
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