Di Daniele Castellani Perelli, La Repubblica
Nella terra di Greta il ministero dell’Ambiente non esiste più. Appena è arrivato al governo, a ottobre, in Svezia il centrodestra lo ha tagliato e ha creato un ministero per il clima che però dipende da quello dell’Energia, il Business e l’Industria, la cui responsabile ha subito detto che «all’ambiente finora si è dato troppo peso». Una svolta imposta dall’estrema destra dei Democratici, che con il loro appoggio esterno sono vitali per il governo di minoranza a cui ad aprile hanno minacciato la sfiducia proprio su un tema ambientale. Il nuovo esecutivo, oltre a tagliare il budget per la protezione della natura, ha detto basta agli incentivi per le auto non a combustibili fossili. E con le sue politiche ha già aumentato l’emissione dei gas serra del Paese. D’altronde Jimmie Akesson, il leader dell’estrema destra che nel 2019 invitava Greta ad andare a scuola invece di scioperare, sostiene che la crisi climatica non esiste, è diventata una sorta di «nuova religione».
Posizioni che hanno ispirato e incoraggiato i “cugini” di Helsinki, il Partito dei Finlandesi, che ad aprile, con il 20,1%, si sono piazzati secondi alle elezioni e sono entrati nel nuovo governo al termine di negoziati dominati da due temi, gli immigrati e appunto l’ambiente, con l’estrema destra di Riikka Purra che si batteva per rimandare al 2050 gli obiettivi di neutralità carbonica previsti per il 2035.
L’ambiente e la lotta al cambiamento climatico sono tra i temi che dividono l’Ue anche in due governi con premier di estrema destra, la Polonia e l’Ungheria. A Varsavia, ad aprile, l’esecutivo guidato da Diritto e Giustizia ha annunciato che ricorrerà alla Corte di giustizia europea per bloccare lo stop all’immatricolazione di auto a benzina e diesel dal 2035, e sullo sfondo rimane la questione della miniera di lignite di Turów, le cui concessioni sono state prorogate nonostante i contenziosi con Bruxelles e con la Repubblica Ceca. La Polonia è il peggior Paese dell’Ue nel Climate Change Performance Index, subito prima dell’Ungheria del sovranista Viktor Orbán, ancora troppo dipendente dai combustibili fossili (per di più russi).
Se si esclude l’ungherese Fidesz, a Strasburgo gli altri tre partiti citati sono tutti nello stesso gruppo di Fratelli d’Italia, l’Ecr, che nel suo programma sottolinea come la lotta al cambiamento climatico debba essere condotta «a un prezzo che aziende e Stati possano permettersi». Un principio che il governo Meloni ha seguito il 20 giugno, quando nel Consiglio dell’Ue ha votato contro (insieme proprio a Svezia, Finlandia e Polonia, oltre ai Paesi Bassi) alla legge sul ripristino della natura, giudicando che non fosse «applicabile, efficace e sostenibile da tutte le categorie interessate, tra cui agricoltura e pesca», e anche quando si è astenuto sul regolamento per le emissioni di CO2 per i veicoli pesanti, perché «la decarbonizzazione deve essere economicamente sostenibile e socialmente equa».
Nell’Ue l’onda dell’estrema destra anti-ambientalista minaccia però anche di espandersi. In Spagna le elezioni del 23 luglio potrebbero portare al governo i postfranchisti di Vox, quelli che Meloni «segue con interesse» e che nel loro programma promettono lo smantellamento delle leggi del centrosinistra, la sospensione del Green Deal europeo e addirittura l’uscita dagli Accordi di Parigi. In autunno si vota pure nei Paesi Bassi, e i sondaggi danno in testa il movimento dei Contadini, che ha marciato con i trattori sull’Aia contro le politiche climatiche dell’Ue. Senza contare che in Francia e Austria hanno il vento in poppa il Rassemblement National di Marine Le Pen e la Fpö che fu di Jörg Haider, mentre in Germania vola al 20% l’Afd, che è apertamente negazionista sul cambiamento climatico e ha nei Verdi il proprio nemico. In attesa delle elezioni, stanno spostando a destra l’opinione pubblica europea sui temi ambientali. Con buona pace di Greta e dei giovani dei Fridays for Future.