Come in un film, l’insolito caso di Monsieur Maudet
Quella dell’affaire Maudet potrebbe essere la trama di un vero e proprio film. E allora proviamo a riavvolgere il nastro degli ultimi giorni
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Quella dell’affaire Maudet potrebbe essere la trama di un vero e proprio film. E allora proviamo a riavvolgere il nastro degli ultimi giorni
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Quella dell’affaire Maudet potrebbe essere la trama di un vero e proprio film. E allora proviamo a riavvolgere il nastro degli ultimi giorni
A tutto schermo: “Le idi di marzo”. Esterno giorno. Domenica 7 marzo 2021. Rue de l’Hôtel-de-Ville di Ginevra, ore 13:16.
Un centinaio di persone per strada. Bocche aperte e occhi incollati ai cellulari, prime esclamazioni, poi il silenzio. I risultati delle elezioni suppletive sono stati appena pubblicati sul sito della Cancelleria.
Pierre Maudet è secondo col 22% dei voti, ad appena 9300 voti di distanza dalla verde Fabienne Fischer, ma soprattutto supera il candidato PLR, Cyril Aellen, di 9146 voti. Da lì a qualche minuto Aellen annuncerà il suo ritiro dalla corsa come aveva promesso di fare se fosse giunto dietro a Maudet.
Cifre che accendono la miccia delle negoziazioni e creano il panico in casa PLR: il primo partito del cantone fino a qualche anno fa, il partito della seconda piazza finanziaria svizzera, quel PLR di cui Maudet è stata la locomotiva elettorale per un decennio prima di essere espulso, è ufficialmente, clinicamente, morto. Ora del decesso: 13:40.
Pierre Maudet ci è passato sopra come uno schiacciasassi. Complice la sua popolarità, la sua campagna porta a porta al grido di “sono l’unico che capisce chi sta soffrendo per la crisi economica”; lui che incarnava le istituzioni con quel piglio tutto radicale e inconfondibile dei primi della classe, ebbene, quello stesso Maudet è diventato in pochi mesi l’uomo anti-establishment, l’espulso, il reietto, la vittima del sistema e come tale il solo a poter capire i dimenticati della crisi.
Arturo Bracchetti insomma gli fa un baffo. Via allora la cravatta regimental, via la giacca, via l’uniforme PLR, d’ora in poi sui manifesti solo camicia bianca e maniche arrotolate. Da Lancillotto alla corte di re François (Longchamp) a Don Chisciotte della Mancia in un batter di ciglio: come non immedesimarsi in un tale eroe?
Esterno giorno. Corte interna dell’Hôtel-de-Ville di Ginevra.
Maudet finalmente arriva sul plateau della TV locale Léman Bleu. Si fa largo fra i giornalisti e le telecamere e resta cinque minuti. Il tempo di dire la frase che tutti i giornali riprenderanno il giorno dopo: “Da oggi sono forse un po’ meno solo, ma certamente rimango indipendente.” Traduzione: non è finita qui.
Cambio scena. Esterno dell’edificio.
Il presidente di quel che resta del PLR ginevrino sta parlando con alcuni esponenti dell’UDC locale: “Bertrand, noi vogliamo mantenere Yves Nidegger in corsa, ora tocca a voi sostenerci”, ma il suo sguardo è perso, “vedremo… sì… adesso non so… ne parleremo in assemblea domani”.
Stacco. Due giorni dopo. Per strada un uomo legge un giornale. Titolo di prima pagina “Una destra in briciole si presenta al secondo turno”, commento di spalla “Il PLR paralizzato, la destra in frantumi”.
PLR e Verdi liberali si ritirano dalla corsa. Non appoggeranno nessuno. A destra della candidata verde in testa al primo turno rimane Pierre Maudet (Libertés et justice sociale), Yves Nidegger (UDC) e…
Bisbigli di passanti intorno all’uomo che legge il giornale. L’uomo scorge il titolo di un altro giornale esposto davanti a un chiosco: “La PPD Delphine Bachmann crea lo scompiglio”.
L’uomo chiude il giornale e se ne va.
Da comparsa quale è stato per molto tempo nella città di Calvino, il PPD si riprende la scena e candida a sorpresa la sua presidentessa al secondo turno.
E se non sarà per questa volta, il PPD avrà comunque contribuito a fermare Maudet (forse), a normalizzare la politica (forse), offrendo nel frattempo un profilo istituzionale alla giovanissima Delphine Bachmann in vista delle cantonali 2023.
Sulla carta, una configurazione sfavorevole per l’enfant prodige della politica ginevrina: a destra tre partiti a spartirsi i voti e, dall’altra parte, una sinistra compatta. In mezzo, tre settimane di campagna elettorale che possono ancora una volta cambiare tutto; l’annuncio del mistero pubblico che ricorre in appello dopo la condanna per accettazione di vantaggi a carico di M Maudet; e la pubblicazione del secondo rapporto commissionato dal consiglio di Stato in carica sui disfunzionamenti interni al dipartimento che guidava il consigliere di stato dimissionario. Tre settimane insomma all’insegna dell’uomo contro tutti e tutti contro l’uomo.
Titolo a tutto schermo. “Capitolo 5. Per un pugno di voti”. Prossimamente sui grandi schermi della politica ginevrina.
Una sceneggiatura ancora tutta da scrivere. Sullo sfondo i candidati al secondo turno. Ma anche il silenzio assordante di un protagonista di livello nazionale. L’avvocato e consigliere nazionale liberale Christian Lüscher. Lui che dell’estromissione di Pierre Maudet dal PLR è stato lo sponsor principale; colui che – per molti – sarebbe dovuto scendere in campo e sfidare frontalmente Maudet alle elezioni. L’alter ego rimasto in silenzio stampa da mesi, l’ultimo baluardo liberale di una città che si scopre sempre più cattolica e sempre meno protestante. L’ultimo ostacolo da abbattere secondo il piano M, perché la Fenice-Maudet possa infine risorgere dalle ceneri del suo ex partito.
Finale. Esterno notte. Primo piano di un volto di spalle. Stacco. Primissimo piano di una mano che si apre e lascia cadere della cenere nel lago Lemano. Colonna sonora. Titoli di coda. Sullo sfondo la rada e il jet d’eau che si spegne. Effetto fade out. To be continued.
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