Continuiamo così, facciamoci del male
Considerazioni in margine al dibattito elettorale nell’area rossoverde e all’esito della Conferenza cantonale del PS
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Considerazioni in margine al dibattito elettorale nell’area rossoverde e all’esito della Conferenza cantonale del PS
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Considerazioni in margine al dibattito elettorale nell’area rossoverde e all’esito della Conferenza cantonale del PS
Non sfuggono a questa immaginifica constatazione gli avvenimenti di questi ultimi mesi, che hanno avuto una prima conclusione, sia pure ancora teoricamente provvisoria (decisivo e definitivo sarà infatti solo il congresso del 13 novembre), mercoledì 7 settembre al Comitato cantonale del PS ticinese.
Riassumiamo: la scorsa primavera i vertici di Verdi e PST annunciano urbi et orbi l’intenzione, anzi la decisione di unire le forze per il Consiglio di Stato, formando una lista unica secondo la formula del 2+2+1 (2 socialisti, 2 verdi e 1 rappresentante della cosiddetta società civile). Obiettivo dichiarato: puntare al rafforzamento dell’area “rossoverde” e ambire a un secondo seggio in Governo. La formula era un po’ uregiatta – due a me e due a te e il quinto che non lo posso dividere a un esterno ma in un paese normale avrebbe avuto il pregio di mettere tutti d’accordo e unire davvero le forze per puntare con decisione agli obiettivi dichiarati. Perché, è stato ribadito più volte mercoledì sera, bisogna suscitare entusiasmo in un elettorato che appare ormai stanco, demotivato e sfiduciato.
In un paese normale, appunto, cosa che il Ticino non è. E difatti, giusto per suscitare l’auspicato entusiasmo e dare “nuovi stimoli” che possano far “ritrovare slancio”, immediatamente sono iniziati gli psicodrammi, tra autocandidature che ammaliano, richieste di formazioni satelliti contigue rese pubbliche solo o soprattutto per suscitare imbarazzo (ossia, letteralmente, impedimento o impaccio al libero e normale svolgersi di un’azione) nella controparte e occupare, lo spazio di un mattino o poco più, le prime pagine dei media estivi, mozioni PS “suprematiste”, dietrologie su presunte manovre tese a promuovere la candidatura unica di Marina Carobbio e malcelati timori della base socialista di perdere il seggio a favore dei compagni-rivali ecologisti. Imbarazzante (questa volta nel senso di sensazione e situazione di forte perplessità e/o disagio), davvero.
Col senno di poi, forse i vertici rossoverdi avrebbero dovuto essere più chiari e decisi mesi fa, oppure rimandare l’annuncio quando i giochi sulle candidature erano già definiti. Perché è chiaro che se si ambisce al rafforzamento dell’area e a un ipotetico secondo seggio, la lista deve essere impostata per conseguire questo obiettivo; di conseguenza bando a ciance e personalismi di ogni genere e tipo e dentro tutti i candidati forti possibili. Poi al popolo decidere (e difatti Bertoli, malgrado la sua conclamata intenzione di lasciare la carica, fino a poco tempo fa si era comunque tenuto a disposizione).
In quest’ottica il “sacrificio” di Marina Carobbio, ossia il suo abbandono della difesa del seggio conquistato tre anni fa al Consiglio degli Stati (la prima donna ticinese e il primo esponente socialista del Canton Ticino ad assurgere a tale carica, non dimentichiamolo) per candidarsi al Consiglio di Stato poteva anche essere comprensibile – lasciava una carica per provare a conquistarne una supplementare, e i conti alla fine se tutto fosse andato bene sarebbero restati numericamente pari, oltre che politicamente positivi. Tuttavia, dopo l’uscita di scena dapprima della candidata di punta dei Verdi e poi del consigliere di Stato uscente PS, qualche perplessità è d’obbligo. Anzitutto perché la sua non rielezione alle Federali del 2023, data per certa praticamente da tutto il PS e dintorni (ma non si doveva infondere entusiasmo, stimoli e speranza?) è a mio modesto avviso tutt’altro che scontata, ché come tutti gli uscenti lei e Marco Chiesa partono in vantaggio rispetto a qualsiasi futuro candidato PLR e PPD, senza dimenticare che in una ipotetica e probabile corsa a quattro anche al secondo turno la presunta solidarietà borghese potrebbe/dovrebbe venire a mancare (ognuno per sé e vinca il migliore. come appunto successo nel 2019). Soprattutto vi è da chiedersi, alla luce delle rinunce eccellenti appena citate e dei numeri che garantiscono all’area sicuramente almeno un seggio in Consiglio di Stato, della sua intrinseca necessità davvero i socialisti tra i loro circa 1.000 iscritti e i circa 10.000 elettori non riescono a trovare altri due nuovi candidati degni per la carica? Rinnovamento, è stato infatti uno dei mantra più spesso recitati mercoledì sera da vertici e base PS; ebbene, l’auspicato “new deal” del partito pare che passi dal candidare e fare eleggere (perché salvo improbabili cataclismi nessuno può avere alcun dubbio su cosa succederà al congresso PS di novembre e poi alle Cantonali del prossimo aprile) una delle sue politiche di più lungo corso affiancandole, in nome di una vetera logica di quote, un esponente della Gioventù socialista. Auspicabilmente maschile, perché se quote devono essere “che si rispetti anche la ripartizione egualitaria fra i sessi” (sì, abbiamo sentito anche questa). Il nuovo che avanza è insomma prioritariamente una questione anagrafica e di sesso, non di idee, competenza e capacità di leggere interpretare la realtà.
Ciliegina sulla torta, come da titoli di giornali i vertici hanno dichiarato che finalmente adesso ci si potrà concentrare sui programmi e sulle idee, ammissione implicita che in questi mesi si è discusso più che altro se non solo di cadreghe e affini (in ogni caso questa è l’immagine che è passata nel cantone, non altra). Imbarazzante, di nuovo.
Anche se ogni tanto qualche dubbio mi assale, io non so se, come ha scritto Silvano Toppi su questo sito, la sinistra abbia paura dell’intelligenza; è tuttavia certo che in tutta questa vicenda abbia una volta ancora discusso più “del contenente (o del contendente, del posto da occupare) che del contenuto ignorando, come dice un antico principio della logica, che il contenuto assume sempre la forma del contenente” e dunque mancando “di una visione più ampia, anche utopistica, che sappia far lievitare idee e soluzioni, invece di agganciarsi come molluschi alle solite inerti pietre di inciampo che nessuno riesce più a smuovere”.
Risultato politico finale? Il prossimo anno l’area rossoverde avrà come oggi un, anzi una consigliera di Stato, non avrà più una consigliera agli Stati e in Gran Consiglio, visto che è utopico pensare a un ribaltamento di maggioranza, conterà più o (magari anche) meno di oggi.
Che volete che vi dica: continuiamo così, facciamoci del male (e speriamo che almeno la Sacher torte sia buona).
A proposito dell’articolo di Giusfin apparso ieri in questa sede: una replica di Aurelio Sargenti
Dibattito sulle prospettive della sinistra disunita - Contributo di Virginio Pedroni, filosofo