Di Matteo Pascoletti, Valigia blu
“Le tattiche di combattimento ucraine mettono in pericolo i civili”: così si legge in un comunicato diffuso ieri da Amnesty International. L’Ong in particolare accusa l’esercito ucraino di aver usato come base edifici civili come scuole od ospedali, e di aver condotto da lì degli attacchi.
L’accusa è il risultato di indagini condotte nelle regioni di Charkiv, Donbas e Mykolaiv, dove gli esperti di Amnesty hanno condotto ispezioni e interviste sul campo, affiancandovi analisi di immagini satellitari. In 19 villaggi e paesi delle regioni, è risultato che le forze armate ucraine hanno lanciato attacchi da aree civili popolate, in molti casi lontane dalle zone di combattimento.
In cinque casi riportati, le truppe ucraine hanno usato come base de facto (ad esempio per mangiare o riposare) strutture ospedaliere. Su 29 scuole visitate, 22 presentano traccia di attività militari. “Abbiamo documentato uno schema ricorrente da parte delle forze armate ucraine, che mettono a rischio i civili e violano le leggi di guerra quando quando operano in aree popolate”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
L’uso di scuole, è fatto notare, non è di per sé una violazione delle leggi internazionali, ma lo diventa se sono presenti potenziali obiettivi civili nelle vicinanze, nel qual caso è necessario avvertire la popolazione a rischio e all’occorrenza assisterle nell’evacuazione. “Questo non sembra essere successo nei casi esaminati da Amnesty International”, si legge.
Alla fine del comunicato è specificato che l’accusa alle forze armate ucraine non può essere intesa come una giustificazione della condotta delle truppe russe. Si legge infatti:
Molti degli attacchi russi documentati da Amnesty International negli ultimi mesi sono stati effettuati con armi intrinsecamente indiscriminate, tra cui munizioni a grappolo vietate a livello internazionale, o con altre armi esplosive con effetti ad ampio raggio. Altri hanno usato armi guidate con vari livelli di accuratezza; in alcuni casi, le armi erano abbastanza precise da colpire oggetti specifici.
Il ministro della Difesa Ucraina, contattato prima della pubblicazione del comunicato, non ha rilasciato dichiarazioni. Dopo la pubblicazione, il ministro degli Esteri ha accusato Amnesty International di ricercare “falsi equilibrismi”, mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accusato l’Ong di “voler spostare le responsabilità dall’aggressore alla vittima”.
Il comunicato ha suscitato reazioni molto accese, da un versante o dall’altro. Si è arrivati a parlare di “scudi umani” usati dagli ucraini, o apertamente di “crimini di guerra” (accusa che nel comunicato non è mai esplicitata, come invece avvenuto in altre occasioni). Fatta salva la doverosa necessità di documentare qualunque violazione di diritti umani, convenzioni e trattati internazionali, il comunicato di Amnesty International presenta alcuni elementi che sono quanto meno dubbi o controversi.
Il primo e più importante è il fatto di aver ignorato Amnesty Ukraine, che non ha partecipato alla preparazione e alla stesura del comunicato. Ciò ha portato Oksana Pokalchuk, direttrice di Amnesty International Ukraine, a pubblicare un duro status sulla propria pagina Facebook [e di dare poi le proprie dimissioni, n.d.r.]. Pokalchuk ha anche fatto presente che il comunicato non è stato tradotto e pubblicato sul sito di Amnesty International Ukraine, perché considerato di parte. La spaccatura, oltre alle pesanti accuse sui metodi condotti, è qualcosa che non va ignorato, perché potrebbe potenzialmente arrivare a pregiudicare l’operato nel paese dell’Ong. Su Twitter un ex membro dell’Ong, Maxim Tucker, ha mosso critiche analoghe al metodo impiegato per il comunicato “Quando lavoravo ad Amnesty ci dedicavamo a rapporti dettagliati che contestualizzavano gli eventi. Il rapporto di Amnesty sull’Ucraina di oggi non lo fa. Il risultato suggerisce che l’Ucraina è più responsabile delle persone uccise dagli attacchi russi rispetto alla Russia stessa. È bizzarro e fuorviante”.
Dato poi il tipo di conflitto che si sta configurando, alcune raccomandazioni di Amnesty International, secondo cui le truppe ucraine dovrebbero tenersi lontane da centri abitati, suonano come irrealistiche. Il comunicato sembra ignorare un aspetto tutt’altro che secondario: è possibile per l’esercito invaso evitare di combattere nelle aree abitate? Tra gli altri, sull’argomento il New York Times riporta il parere di Jon Spencer, ex maggiore dell’esercito americano e specialista in studi sulla guerra urbana:
Dire: ‘Non state nelle aree urbane’ non ha senso. […] I russi stanno avanzando per conquistare le città. Gli ucraini devono andare in difesa nelle città per impedire che ciò accada. […] Se gli ucraini fossero usciti allo scoperto e avessero combattuto contro le forze armate russe, la guerra sarebbe già finita – sarebbero tutti morti.
Ci sono poi gli aspetti di sensazionalismo nel modo in cui è stato redatto e lanciato il comunicato che si presta a fraintendimenti e strumentalizzazioni, come in parte già visto. Se in una guerra in cui la propaganda ha un ruolo molto importante ciò è pressoché inevitabile, chi lavora nella comunicazione, tanto più se si tratta di una Ong internazionale, ha il dovere di porsi il più possibile il problema di come evitare ciò. Non sarà mai possibile annullare il rischio, ma tuttavia rispetto al contesto generale del conflitto il taglio del comunicato e la presenza di alcuni disclaimer non restituiscono la natura e la sproporzione delle forze in campo e delle strategie portate avanti. Questo può fornire assist alla strategia di propaganda russa. Il Cremlino ha sistematicamente incolpato l’esercito ucraino di ogni danno o attacco a obiettivi civili (parlando di attentati, fuoco amico, o di bersagli militari nascosti), senza farsi mai scrupoli nel mentire apertamente – come per il massacro di Bucha. (…)
Nell’immagine: la pagina Facebook di Amnesty International Ukraine