Ecco perché ci piace l’«ordine» talebano
Mentre i talebani sono praticamente a Kabul, anche in Occidente c’è chi lavora per legittimare il ritorno degli “studenti coranici”
Filtra per rubrica
Filtra per autore/trice
Mentre i talebani sono praticamente a Kabul, anche in Occidente c’è chi lavora per legittimare il ritorno degli “studenti coranici”
• – Redazione
Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
L’inquietante creatività delle teorie complottiste dei no-vax
• – Enrico Lombardi
Dopo l'abolizione da parte di Nixon, oggi sarebbe ancora necessario un trattato che definisca un nuovo sistema monetario internazionale
• – Aldo Sofia
Un documentario RSI pluripremiato da rivedere nell'anniversario del crollo di Genova
• – Redazione
La scomparsa di Gino Strada: fondatore di Emergency, senza mai dimenticare ingiustizie ed emergenze sociali
• – Aldo Sofia
Ci ha lasciato il guerriero dal cuore buono e fragile
• – Marco Züblin
Il ricordo di una ticinese impegnata per mesi in Emergency nell'inferno afghano
• – Aldo Sofia
Stampa / Pdf
• – Franco Cavani
Una multa al Consiglio di Stato e un sollevamento di popolo
• – Silvano Toppi
Mentre i talebani sono praticamente a Kabul, anche in Occidente c’è chi lavora per legittimare il ritorno degli “studenti coranici”
Il ritiro americano dall’Afghanistan è una vergogna ma anche una mossa calcolata. Il ritorno all’ “ordine talebano” era prevedibile, forse addirittura auspicato. Fare gli stupiti è ipocrita. Di mezzo ci vanno come al solito gli afghani, che sono stati scaricati da europei che premono per il rimpatrio dei profughi, aggrappandosi ad accordi firmati col governo di Kabul con un ricatto esplicito: dovete riprendervi i rifugiati altrimenti non vi diamo i soldi. E poi ci facciamo chiamare “paesi donatori”. Insomma la solita usuale solfa di Bruxelles che spera con i quattrini di fermare gli arrivi alle frontiere, una volta pagando Erdogan, un’altra i libici o i tunisini. I prossimi a libro paga magari saranno proprio i talebani, e non ci sarebbe troppo da scandalizzarsi: da anni versiamo i soldi ai criminali libici e ai loro complici.
L’Afghanistan è lontano e vogliamo dimenticare alla svelta Kabul, anche se sono passati vent’anni da quando gli Stati Uniti hanno invaso l’Afghanistan con l’obiettivo di eliminare Al Qaeda dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, e rovesciare il regime di Mullah Omar. Questa sembra l’unica preoccupazione dell’Unione europea: che l’Afghanistan stia profondando nel caos e in una nuova guerra civile, con il risorgere dei signori della guerra cooptati in questi anni nella “democrazia” afghana. Dopo aver proclamato, per anni, con gli americani, che stare in Afghanistan era cosa giusta e doverosa per “proteggere” la democrazia e i diritti delle donne, adesso gli europei voltano la faccia dall’altra parte e rifiutano asilo a chi teme giustamente di essere ricacciato in un nuovo medioevo.
A stento sono stati salvati un po’ di afghani che lavoravano per le truppe occidentali, giusto per le pressioni sui media che hanno dato spazio alle suppliche di quelli che i talebani considerano “collaborazionisti” . Tralasciando di scrivere che questo censimento dei collaborazionisti, i talebani nelle provincie lo fanno da sempre e in maniera accurata, con in mano i dati anagrafici di una popolazione che hanno tenuto sotto torchio per anni. Gli “studenti coranici” non hanno mai smesso di governare “a distanza” il Paese, e tutti lo sapevano benissimo, altrimenti non sarebbero avanzati così velocemente. L’ipocrisia è tale da nascondere un pensiero neppure troppo remoto, vista la situazione. Un ritorno all’“ordine talebano” potrebbe anche non dispiacere troppo ad americani ed europei.
Per questo ce ne siamo andati via alla chetichella, ammainando velocemente le bandiere. Con il ritiro militare, gli americani e la Nato hanno rifilato una pesante eredità all’Armata Rossa, ai cinesi, e agli iraniani. Un altro bel colpo della strategia del caos perseguita dagli Stati Uniti negli ultimi vent’anni grazie alle amministrazioni repubblicane ma anche a quelle democratiche, dove spicca con Obama il ritiro dall’Irak, che lasciò il paese nelle braccia dell’Isis. Anche lì, come in Afghanistan, doveva essere un esercito nazionale a mantenere l’ordine: in tutte e due i casi le forze armate locali si sono sfaldate alla prima offensiva. Ora l’Armata Rossa organizza manovre militari con Uzbekistan e Tagikistan: i russi dovrebbero tenere quelle frontiere che abbandonarono nell’89, quando si ritirarono dopo l’invasione del dicembre ’79, e una guerra persa contro i mujaheddin, sostenuti dagli USA e dai loro alleati. Anche la Cina si sta muovendo per proteggere i confini dello Xinjiang musulmano e le concessioni minerarie afghane. L’obiettivo a quanto pare sembra stato raggiunto: i talebani hanno assicurato che non interferiranno nelle questioni interne cinesi tra uiguri e Pechino, al tempo stesso la Cina ha definito gli insorti afghani “una forza militare e politica cruciale”. Così come stanno negoziando gli iraniani, che si ritrovano i talebani a stretto contatto nella provincia di Herat, storicamente legata alla Persia.
Tutti sono seduti al tavolo con i talebani, dagli americani agli altri: si tratta di preparare il terreno al loro riconoscimento internazionale. E vedrete che ci piacerà pure Muhammad Yakoob, il figlio del Mullah Omar, che lancia appelli, non si sa quanto affidabili e realistici, alla moderazione dei combattenti. Di democrazia, protezione delle donne, sviluppo sociale ed economico di un Paese che l’Occidente diceva di voler cambiare già non parla più nessuno. Che volete di più? Il “ritorno all’ordine” tra un po’ di tempo, anche nel caos, sarà completo.
Articolo pubblicato da ‘il manifesto’ l’11 agosto [per gentile concessione]. Immagine: Wikimedia Commons
“Avvenire”, giornale dei vescovi italiani, denuncia il crimine contro ragazzine somale abusate da guardie libiche dopo la cattura in mare; un orrore confermato dall’ONU
Quando i veri o presunti soccorritori decidono quali sono i bisogni di chi dev’essere soccorso