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Effetti personali e soggetti smarriti
Naufragi

Effetti personali e soggetti smarriti

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Enrico Lombardi
Enrico Lombardi
Effetti personali e soggetti smarriti
• 12 Giugno 2021 – Enrico Lombardi
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In un’ennesima comunicazione circa i fatti legati alla parziale demolizione dell’ex-Macello di Lugano, il Municipio si rivolge acrobaticamente alla stampa per una “versione definitiva” (l’ennesima, in verità) in cui, in chiusura, come segno di umana comprensione,  si annuncia nientemeno che la creazione di un indirizzo mail effettipersonali@lugano.ch disponibile per gli autogestiti che debbano o vogliano ritrovare, sotto le macerie, appunto i loro “effetti personali”, ciò che è stato e rimane sepolto dall’azione delle ruspe.

Naturalmente, essendo l’area in questione doverosamente protetta per ragioni di sicurezza (vedi amianto, che non c’era e adesso c`è), viene da chiedersi chi possa pensare di ritrovare in questi giorni ciò che gli appartiene e in che condizioni, e a quali condizioni.

Che tristezza constatare che una città come Lugano, che si vanta in modo roboante di essere la nona città svizzera, riesca ad inanellare così goffamente una serie tale di insensate dichiarazioni, “effetti collaterali” dai più diversi risvolti e dalle più varie versioni, di una decisione presa il 29 maggio (forse), non si sa a che ora, dalla maggioranza (forse) del Municipio.

E a rincarar la dose ci pensano pure le autorità cantonali, in un escalation senza fine di prese di posizioni a dir poco inquietanti, surreali e minacciose: si pensi alla piccata dichiarazione di Norman Gobbi in risposta ad un collega di RSI che chiedeva semplicemente lumi sull’accaduto: sacrilegio, “la RSI sta alimentando sospetti per ragioni politiche! Faccia autocritica!”.
Chissà che ne pensa l’ATG.

Una vicenda desolante, su cui i “Naufraghi” si sono già espressi in più occasioni e su cui torniamo per constatare che a fronte di tanti e tali interrogativi ancora aperti, dopo due settimane, dopo tante e tali differenti esternazioni di uno o l’altro dei collegialissimi municipali (un consesso che appare ai più come gravemente responsabile del proprio non funzionamento), sul fronte dell’autogestione si prosegue ostinatamente nel non considerare il momento come favorevole per proporsi in modo aperto e “maturo” non tanto o non solo verso la controparte, ovvero il Municipio, ma di più e più opportunamente verso un’opinione pubblica disorientata.

A nessuno sarà sfuggito che sabato 5 giugno, le migliaia di persone accorse in Piazza Riforma per manifestare, vi sono state spinte sì da un’idea di legittimità di forme di aggregazione anche antagonistiche dentro il contesto sociale e culturale della città e del Cantone, ma anche, in gran parte, per contestare l’operato di un Municipio (e/o di un non meglio identificato apparato di polizia) che si è manifestato in modo tanto violento (naturalmente “in nome della sicurezza dei cittadini”).

Ecco, numerosi cittadini erano lì il 5 giugno perché molto preoccupati, allarmati, dall’uso di “effetti speciali” da parte di un Municipio tanto creativo nell’inventarsi versioni dei fatti sempre diverse da apparire alla fine dei conti come semplicemente incredibile e inaffidabile.

Eppure, l’assemblea del CSOA, in un comunicato pubblicato nel proprio sito online, pare proprio non accorgersi che questo sarebbe il momento per aprire un canale comunicativo verso la città (nel senso di cittadinanza) che dalle ceneri della propria sede distrutta dalle ruspe faccia nascere nuove forme di creativa legittimazione dei propri ideali di autonomia e autogestione.

Così, per esempio, l’assemblea degli autogestiti prende posizione nei confronti della discussa (e ampiamente deprecata) presenza di “imbrattatori” durante la manifestazione:

“Triste è stato anche dover assistere a insulti razzisti, sessisti e omofobi da parte di alcun* partecipanti rivolti alle persone che stavano mettendo in atto determinate pratiche di lotta. Chi ha lanciato questi insulti e minacce lo ha fatto riempiendosi la bocca di una presunta volontà di pacifismo, mettendo invece in campo una violenza apparentemente meno evidente ma, proprio per questo, subdola e nociva. Con chi si e fatt* autor* di questi gesti, sentiamo di non aver nulla a cui spartire.”

Dunque, in pratica, durante il corteo in cui un drappello di nero vestiti e incappucciati ha disseminato il centro di scritte su muri e vetrine ( in alcuni casi anche con pesanti minacce) rappresenterebbe semplicemente una forma di “determinate pratiche di lotta”, mentre chi dice loro di smetterla è un subdolo e nocivo violento che non ha “nulla a cui spartire (?)” con la protesta.

E così la tristezza aumenta, e molto, perché è davvero sconfortante prendere atto che ancora una volta dogmi e parole d’ordine abbiano il sopravvento sulla semplice constatazione della realtà, anche quella antagonista, per carità.

Perché un conto è il diritto di elaborare, produrre, discutere, sostenere modelli di società e di economia totalmente diversi da quelli “dominanti”, un conto è farlo, a colpi di bomboletta e vetri rotti, usando gli strumenti della retorica pseudorivoluzionaria, quella, per intenderci, denunciata da Lenin nel celebre libro “L’estremismo, malattia infantile del comunismo”, scritto proprio 100 anni fa.

Un conto è richiamare con la celebre A cerchiata, gli ideali anarchici della “Lugano bella” d’inizio Novecento, un conto è spruzzare A cerchiate un po’ qua e un po’ là, senza un disegno, senza un senso, anzi con il risultato di far crescere il sospetto che quella A, più che l’idea di Anarchia richiami la condizione di Autismo (del resto presente in un termine usato a lungo dall’autogestione nel proprio sito).

Giovani e meno giovani, in cerca di autonomia, autogestione e di pratiche alternative, si trovano così, intanto, a recuperare i propri “effetti personali”, oggetti smarriti sotto la coltre di macerie prodotta da chi non aspetta altro che esibire pubblicamente e strumentalmente la prossima serie di “incivili nefandezze dei brozzoni”.

Siamo insomma, ancora e sempre, nel buio territorio dell’ incomunicabilità che non andrà a beneficio di nessuno e in cui si muovono ombre di “soggetti smarriti” in cerca, forse, di un mediatore, ma intanto certamente destinati a continuare un “gioco delle parti” che rischia sempre più di allontanarsi dalla possibilità d’essere compreso e accettato dall’opinione pubblica.






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