La disaffezione nei confronti dell’informazione: piani di austerità, attacchi alla SSR e scarafaggi
Il simpatico blattoide conosce la differenza fra una guerra atomica e... un giornale!
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Il simpatico blattoide conosce la differenza fra una guerra atomica e... un giornale!
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Nelle diverse unità regionali, si prevedono nuove importanti riduzioni del personale. Gli investimenti andranno, pare, soprattutto in non meglio precisati tentativi di attirare i giovani, che a questo punto, se seguiamo la logica delle soppressioni, secondo la SSR non si interessano né allo sport, né alla cultura, né tantomeno agli approfondimenti dell’attualità. È così? È solo una questione di medium? Basta reclutare gente giovane, pagarla poco e farle fare l’”esperienza” per risolvere il problema?
Il fatto è che i cambiamenti strategici e strutturali in atto non sembrano semplicemente legati all’evoluzione di supporti e dispositivi, né solo ai mutamenti delle abitudini degli utenti. Sono anche, e forse soprattutto, una strategia un po’ pedissequa nei confronti dell’indifferenza, quando non dell’ostilità che il mondo politico mostra nei confronti del servizio pubblico radiotelevisivo e una risposta connivente con una certa visione economicista dello stesso, che ha portato tutte le ex-regie federali a reinventarsi in investimenti che non sembrano avere degli effettivi legami con quelli che dovrebbero essere i loro scopi principali.
Indifferenza e ostilità. Indifferenza se ci si riferisce alle risposte date finora dal Consiglio federale alle sollecitazioni su questo tema, incomprensibili se si pensa alla necessità di un’informazione solida e forte in un sistema democratico. Ostilità se ci si interessa alle ultime prese di posizione dell’UDC, che da anni attacca la SSR. Da un lato, il banchiere multimilionario e parlamentare Thomas Matter, incavolato per un presunto sgarbo al suo partito, ha annunciato un’iniziativa che vedrebbe la creazione di quote di giornalisti a seconda della loro sensibilità politica. Dall’altro lato, sempre l’UDC riflette a un’iniziativa, ben più reale, per diminuire il canone a 200 franchi. Tenuto conto che esistono metodi decisamente più seri di quelli proposti per verificare il lavoro svolto dai media, senza minacciare la loro autonomia, ma criticando prove alla mano quando svolto, non è certo tagliando in continuazione i fondi al servizio pubblico, (che ha ancora un sistema di verifica che altri media non hanno), che si migliora l’informazione. Si vuole forse creare network che costruiscano realtà al posto di osservarla e discuterla? L’idea non è nuova, ma è furba. Certo più furba del silenzio, un filino omertoso, di quell’ampia schiera di partiti politici che afferma di sostenere la necessità di avere un servizio pubblico forte e una solida informazione.
Ma in fondo perché la politica, e con essa la società tutta, dovrebbe interessarsi a un’informazione approfondita, sostenuta da prove? Tutto dipende da quanto si ha a cuore la salvaguardia della democrazia. Quanti fanno della disinformazione la loro strategia di sopravvivenza? Quanto spendono i gruppi di interesse, i partiti, le amministrazioni federali e cantonali in specialisti della comunicazione e del marketing, con funzioni diversificate, ma che spesso contrastano il giornalismo d’inchiesta? Cosa accade in una società quando le pressioni economiche, le concentrazioni mediatiche, l’utilizzo sempre più frequente di denunce e minacce che colpiscono i professionisti dell’informazione? Restano le pagine a pagamento, le scelte editorial-aziendali scellerate, la riscrittura della verità, i giornalisti conniventi. Gira una battuta da non sottovalutare: uno scarafaggio, può sopravvivere a una guerra nucleare, ma muore se colpito da un giornale. Sono in molti ad averlo capito. Un mondo senza buona informazione è uno dei tanti mondi possibili. Basta essere coscienti delle conseguenze.
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