Errori e coscienza della dignità della carica
Cambio alla presidenza del Consiglio di Stato; repetita purtroppo non iuvant, ma io insisto
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Cambio alla presidenza del Consiglio di Stato; repetita purtroppo non iuvant, ma io insisto
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Cambio alla presidenza del Consiglio di Stato; repetita purtroppo non iuvant, ma io insisto
NG lascia la presidenza del Consiglio di Stato: non so se essere più lieto che il nostro ministro delle Istituzioni vada, o più triste perché egli rimane nell’Esecutivo cantonale; e vi rimarrà ancora a lungo, temo, in assenza di alternative sia per lui sia per i suoi. “Ho sempre ammesso gli errori, sin da quando arbitravo”: leggo oggi sul foglio muzzanese, in epigrafe alla solita intervista in ginocchio cui il quotidiano ci ha purtroppo abituato da anni (maestri della “Taktik des Velofahrers”, cioè nel distribuire calcioni un po’ maramaldi verso il basso e acritiche genuflessioni verso l’alto). Ovviamente, per ammettere gli errori bisogna averne prima coscienza, premessa essenziale essendo comunque quella di non esaminare uomini, cose e comportamenti dall’alto di autoeretti pulpiti.
Non gli addebito tanto la sua gestione, da ufficiale Sturmtruppen, della comunicazione in epoca di emergenza sanitaria, in un fiorire un po’ comico di “evidentemente”, sparati con stentorea e retorica voce da Feldweibel (l’ho sempre visto in tuta mimetica verbale); e nemmeno l’appello fatto in maccheronico Schwytzerdüsch ai nostri confederati prima dell’altra Pasqua – da Andermatt in su ne ridono ancora –; né l’approccio casuale e autocratico al dossier-magistratura, in cui è sembrato farsi un vanto di non conoscere il tema e di purtuttavia continuamente esternare a quel proposito.
Gli rimprovero, e lo farei ecumenicamente anche ai suoi colleghi se agissero in modo così plateale, una scarsa o assai intermittente coscienza degli obblighi e dei limiti che la sua carica gli impone. Non so quante volte occorrerà dirgli che, nonostante sia stato eletto dai suoi (cioè da una minoranza di una risicata maggioranza), egli è un membro a tutti gli effetti dell’Esecutivo cantonale e quindi deve agire anche per i tantissimi che non l’hanno votato ma che cionondimeno lo remunerano e (ancora, per interposto aumento di stipendio) gli pagano la cassa pensione; e che quindi hanno il diritto di pretendere che agisca come uomo di Stato e nel rispetto della carica che occupa.
E’ possibile che prese di posizione un po’ burine e xenofobe suscitino reazioni entusiastiche tra i suoi, ma esse non lo giustificano; sarebbe come dire che deliri etilici assurgono a gocce di saggezza se essi provocano salve di evviva tra una platea di sbronzi. Se intende persistere in atteggiamenti da conducator leghista potrà serenamente farlo, con tutto il rispetto che essi meritano, ma da funzionario di partito a tempo pieno, generale e non più solo colonnello; con il vantaggio che in questa ipotesi coloro che non la pensano come lui non sarebbero obbligati, oltre che a sentirlo, anche a pagarlo. Tra i vari attentati che si stanno perpetrando in questo Cantone, posso (a stento) perdonare quelli al buon gusto, alla lingua italiana, alla decenza, alla buona fede e al rispetto di se stessi, trattandosi di ferite autoinflitte e che quindi fanno male in primis all’attentatore; ma non posso invece perdonare l’offesa alla dignità delle cariche istituzionali, soprattutto se fatta da coloro che le occupano.
Per fare l’arbitro non basta saper pattinare, indossare la giacchetta a righe e conoscere il regolamento: occorre saper praticare l’equidistanza, e magari anche l’umiltà. Torniamo sempre lì, alla coscienza dell’errore come premessa necessaria per ammetterlo.
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