Dapprima i fatti (pochi) e le ipotesi (molte e preoccupanti), già note da una decina di giorni. La notizia è quella della possibile, progressiva
– entro alcuni anni
– dismissione di Palazzo Trevisan degli Ulivi, che a Venezia ospita lo Spazio Culturale Svizzero e il Consolato.
Una sede prestigiosa che affaccia, da un lato, su Campo Sant’Agnese, dall’altro sull’Isola della Giudecca. Un hotspot rossocrociato, insomma, in un luogo che più internazionale non si può. Eppure, qualche sentore aleggiava nell’aria da tempo: dal 2001 il Consolato è solo onorario, con competenze amministrative limitate.
Come si legge sul sito del DFAE, non rilascia visti, passaporti svizzeri o altri documenti: “In caso di bisogno assiste le viaggiatrici e i viaggiatori svizzeri in difficoltà a seguito, per esempio, di malattia, infortunio o furto”. Lo dirige attualmente il console onorario Leo Schubert.
Quanto all’enclave culturale svizzera a Venezia (la denominazione ufficiale è Spazio Culturale Svizzero), dal 2005 la sua programmazione è curata dall’Istituto Svizzero di Roma, di cui è vicepresidente Giovanna Masoni Brenni. La sede lagunare è inserita in un calendario di iniziative che coinvolge, oltre a Roma stessa (Villa Maraini), anche Milano.
La notizia di un eventuale disimpegno da parte della Confederazione era stata anticipata dal Blick il 21 luglio suscitando rapidamente una serie di commenti, soprattutto – come logico – in Ticino, poiché tocca direttamente i temi del quadrilinguismo e dell’italianità svizzera, una Svizzera che di questa ricchezza fa una bandiera, ma poi potrebbe decapitarne un’antenna aperta proprio nel Paese italofono confinante.
In toni allarmati, questa prospettiva è stata commentata, nell’ordine, da Marco Solari, Bernardino Regazzoni, ex ambasciatore in Italia, Giordano Zeli, presidente della Fondazione Svizzera Pro Venezia, Renato Martinoni, già membro del Consiglio di Fondazione di Pro Helvetia, e dalla Consigliera di Stato Marina Carobbio.
Lo spinoso argomento sarebbe già arrivato fino alla sala del Consiglio federale: Ignazio Cassis (da cui dipende l’Istituto Svizzero di Roma) ed Elisabeth Baume-Schneider, ministra (anche) della Cultura (da cui dipende Pro Helvetia), avrebbero da subito lasciato intendere che di una vendita del cosiddetto piano nobile di Palazzo Trevisan degli Ulivi – che appartiene alla Confederazione e potrebbe fruttare non meno di una decina di milioni di Euro – non si parla. Sembra invece certo un forte ridimensionamento delle attività di Pro Helvetia, che vi ospitava anche artiste e artisti svizzeri per dei periodi di residenza. Le opere degli artisti svizzeri potranno essere presentate, anche in futuro, nell’architettonicamente bellissimo Padiglione svizzero della Biennale, progettato all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso da Bruno Giacometti, la cui esistenza non è fortunatamente in discussione.
Giordano Zeli (Corriere del Ticino, 23 luglio) definisce assurda la decisione (se verrà confermata) di dismettere l’antenna veneziana: “Nella Serenissima la Svizzera c’è, lo dimostra anche la Storia. Dobbiamo adoperarci per mantenere vivo questo legame. Vendere sarebbe come segare il ramo su cui si è seduti; mancanza di sensibilità e di lungimiranza. Saremmo costretti a dire addio a un punto di ritrovo e di riferimento”.
Renato Martinoni (Corriere del Ticino, 24 luglio) fa una proposta: “Non si può immaginare che Palazzo Trevisan degli Ulivi possa limitarsi a ospitare concerti, conferenze, incontri e qualche studioso svizzero che pernotta a Venezia; bisogna trasformarlo, progressivamente ma in fretta, in un centro culturale, di studi, di convegni più dinamico e attivo, tenendo conto degli spazi, che sono grandi, del fascino di Venezia, dell’importanza economica e culturale di Regioni come il Veneto e di altre vicine come la Lombardia, il Friuli, l’Emilia Romagna”.
Quanto al sottoscritto (che non conosce le cifre in gioco), se mi si chiede un’opinione, questa querelle ripropone (ad altri livelli) un nodo che si presenta, presto o tardi, a chiunque abbia una responsabilità politica e decisionale. Senza minimizzare, e senza confrontare àmbiti e dimensioni diverse, anche il più modesto ente pubblico, quando è costretto a risparmiare e a fare dei tagli, è chiamato ad avere il “coraggio” e il senso di responsabilità di decidere il principio; e, subito dopo, a definire dove e su cosa tagliare.
Correndo il pericolo di apparire blasfemo, il politico (ma, in ultima analisi, la cittadinanza intera che egli rappresenta) deve chiedersi, per esempio, se sia non dico più importante in termini assoluti, ma prioritario in tempi di difficoltà finanziarie, rinunciare a una serie di mostre, concerti, rassegne, pubblicazioni, o alla costruzione/sistemazione di un nuovo ospedale, di una ulteriore casa per anziani, di una nuova sede scolastica, di un nuovo centro extrascolastico che, accogliendo un bimbo già a 2-3 anni di vita, permetta ad entrambi i genitori di lavorare, almeno parzialmente. Se sia prioritario investire nel consolidamento degli argini dei fiumi e dei riali, proteggendo la vita, nella sistemazione di strade malandate, di tubazioni che perdono, o in campo culturale, sportivo, del cosiddetto intrattenimento.
Dico questo sapendo di farmi male (e di fare del male, indirettamente, per quanto poco conti, alla sopravvivenza stessa dello Spazio Culturale Svizzero a Venezia). Ma sono interrogativi che, quando le casse piangono, quando bisogna scegliere, quando è aut aut, non vel vel, quando tertium non datur. Lo dico perfettamente consapevole del fatto che l’àmbito è quello della cultura, per sua stessa natura più fragile quando la scelta è fra cultura e socialità o fra cultura e sanità o ancora cultura e scuola (tutti gli ordini di scuola).
D’altra parte, ridurre la presenza e le attività dell’Antenna svizzera nella Serenissima ad un fatto culturale in senso stretto è una visione parziale e incompleta. Venezia – seppur sopraffatta da un turismo di massa che a tratti la fa sembrare una Disneyland non molto diversa dalla sua copia nel deserto del Nevada – Venezia invasa sino a pochi mesi fa dai mostri d’acciaio che oscenamente sfilavano davanti al Ponte dei Sospiri, che prova ad arginare le orde con il ticket imposto ai visitatori di giornata. Venezia, soprattutto, ridotta nel Centro storico a 48 mila abitanti stabili (meno di Lugano), resta un faro che illumina il mondo. Biennale, Mostra del Cinema, le esposizioni prestigiose della Pinault Collection, senza dimenticare architetture, musei, teatri e l’intero paesaggio lagunare (umano e naturalistico) preesistente, da quella posizione, da quel luogo irradiano il pianeta intero.
Essere presenti proprio lì, in una delle città più visitate, citate, “conosciute” e sognate è un privilegio che oggi abbiamo e che in pochi la Svizzera, l’immagine della Svizzera nel mondo arrischia di perdere.
Ceci dit, dare una mia opinione mettendo sui due piatti della bilancia quanto scritto sopra diventa difficilissimo: potrei – come si dice – partire per la tangente. Augurandomi, per esempio, che il futuro di Palazzo Trevisan degli Ulivi venga garantito, insieme, da istituzioni pubbliche e private, in una sinergia virtuosa in grado, da un lato, di dare maggiore vitalità –e conseguente visibilità – al cartellone proposto. In questo senso sottolineo ancora una volta quanto fatto, in anni recenti, da grandi mecenati quali François Pinault (Palazzo Grassi e Punta della Dogana), Bernard Arnault (che, dopo il Cipriani, starebbe per acquistare un altro storico 5 stelle, il Bauer, affacciato sul Canal Grande, per non meno di 250 milioni di euro), o il meno noto Nicolas Berggruen (Palazzo Diedo).
Un’ultima considerazione: non solo il dibattito sulle priorità di spesa in tempi difficili (ma sarebbe più giusto, in questo caso, parlare di investimenti) è vecchissimo e si ripresenta regolarmente. Di Pro Helvetia si era occupato, già 40 anni or sono, il giornalista Flavio Zanetti in un suo commento in italiano sul quotidiano bernese Der Bund, di cui era ospite regolare. Riferendosi all’apertura del Centro Culturale Svizzero di Parigi, nel cuore del Marais, scriveva: “Il difficile parto di questo Centro ha dimostrato la reticenza che il nostro Paese nutre talvolta nel campo degli investimenti culturali, la paura di operare in un settore apparentemente non redditizio, che non abbia immediato riscontro sul piano materiale. (…) La creatività, la pittura, la scultura, la musica, la letteratura, il cinema? Meritano anche loro attenzione nei limiti in cui un Paese demograficamente e geograficamente piccolo come il nostro può esprimersi. Una voce che è espressione della poliedricità culturale che si allaccia alle matrici delle maggiori culture europee e che va fatta sentire oltre i confini nazionali, per completare l’immagine che il nostro Paese ha finora trasmesso all’estero. L’esempio del CCS di Parigi è estremamente edificante e dovrebbe stimolare le nostre Autorità ad appoggiare ancora maggiormente gli sforzi di Pro Helvetia in favore di questa nostra presenza culturale all’estero, soprattutto anche in Germania, Austria e Italia, in forme e modi che non necessariamente devono ricalcare quelli parigini, ma che comunque siano volte a incrementare, nella statistica delle nostre esportazioni, anche la voce Cultura nella sua accezione più ampia”.
Come non sottoscrivere le parole di Zanetti? Ma nel contempo – se davvero le ristrettezze finanziarie della Confederazione sono tali e devono portare ad agire – come non discutere anche di questa questione considerandone tutti gli aspetti?
Nell’immagine: la facciata del Palazzo Trevisan degli Ulivi