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Alla fine è arrivata anche l’ammissione del patriarca. Rupert Murdoch ha ammesso che i giornalisti della sua Fox News sono stati conniventi nella diffusione di falsità sui «vasti brogli» che Donald Trump sosteneva avessero falsato l’esito delle elezioni presidenziali del 2020 da lui perse contro Joe Biden. Che l’impero all news del magnate australiano fosse schierato a destra non è di per sé una notizia ma le dichiarazioni trapelate da una deposizione data il mese scorso hanno provocato un piccolo terremoto, per come indicano che i giornalisti e mezzibusti Fox siano stati tendenziosi nella copertura delle scorse presidenziali.

L’AMMISSIONE sembrerebbe confermare la tesi centrale dell’accusa in una causa per diffamazione intentata dalla Dominion Voting Systems, azienda produttrice di macchine per il voto elettronico usate in molte circoscrizioni. Fra le insinuazioni addotte dalla campagna Trump per promuovere la tesi del “furto” elettorale vi fu all’epoca quella dei terminali programmati per modificare i voti a favore di Biden, accuse infondate tuttavia amplificate dai programmi e notiziari dell’emittente che sin dall’inizio è stata principale megafono del movimento trumpista. La querela della Dominion accusa la Fox di aver diffuso le falsità sui propri apparati con cognizione di causa, e chiede 1.6 miliardi dollari come risarcimento per il danno di immagine subito.

L’ORDINAMENTO americano, fortemente orientato alla protezione della libertà di stampa, richiede che sia dimostrabile l’ intenzionalità (actual malice)per aggiudicare l’avvenuta diffamazione, il che rende assai difficile comprovare il reato. Il caso Fox sembra tuttavia avviato a soddisfare lo standard, specie alla luce delle dichiarazioni rilasciate sotto giuramento da Murdoch. L’editore ha affermato che i suoi giornalisti – compresi Sean Hannity, Jeanine Pirro, Lou Dobbs e Maria Bartiromo – «sottoscrissero» il complotto avanzato da Trump e che «in retrospettiva» avrebbe voluto che la sua emittente avesse «denunciato le falsità» su cui si basava
La fiction sui «vasti brogli» venne avanzata all’epoca da una task force riunita a questo scopo, guidata da Rudy Giuliani e dall’avvocata Sidney Powell, che si riuniva alla Casa bianca. L’operazione denominata “Stop the Steal” montò una campagna basata sulla denuncia sistematica del furto delle elezioni giungendo a formalizzare 63 ricorsi legali in tribunali sparsi per il paese, ognuno dei quali fu in definitiva respinto. Cruciale per mantenere alta la pressione politica all’epoca fu la martellante copertura su Fox news su cui Trump, Giuliani, Powell ed altri esponenti complottisti erano ospiti fissi.

DAGLI ATTI preliminari del processo Dominion, che si svolgerà ad aprile, sta però emergendo che allo stesso tempo la direzione ed i giornalisti della rete erano ben coscienti della falsità delle accuse. Messaggi, mail ed sms acquisti dagli avvocati della Dominion hanno comprovato che le vedette dell’emittente conservatrice fra cui Tucker Carslon, Sean Hannity e Laura Ingraham esprimevano in privato forti dubbi sulla “Big Lie” di Trump e schernivano Powell e Giuliani. In un messaggio inviato a novembre 2020 alla collega Ingraham, Carlson ad esempio scriveva: «Sidney Powell mente, è assurdo. L’ho incastrata». Nella risposta di Ingraham si legge: «Sidney (Powell) è fuori di testa, nessuno vuole lavorare con lei. Idem per Rudy (Giuliani»). «I nostri telespettatori se la bevono», conclude Carlson. Allo stesso tempo la tesi del furto elettorale veniva quotidianamente perorata sull’etere Fox per incoraggiare il movimento che avrebbe portato al tentativo di sovvertire le elezioni mediante il rifiuto di ratifica dei risultati. (L’allora vicepresidente Pence si sarebbe poi rifiutato di prestarsi alla manovra, ma la mistificazione di Trump amplificata dalla Fox avrebbe portato all’insurrezione del 6 gennaio). Il complottismo che alimenta gran parte del movimento nazional populista rimane una componente politica fondamentale della nuova destra, carburante per i rancori della base e tuttora al centro dei comizi della campagna politica di Trump per tornare alla Casa bianca.

MA SE POLITICAMENTE l’ideologia “zombie” risulta difficile da eliminare, legalmente l’esito potrebbe essere diverso. La causa della Dominion contro la Fox risponde infatti ai criteri quantificabili della verità giuridica. Le dichiarazioni di Murdoch e dei suoi giornalisti sembrano delineare l’effettiva malafede da cui dipende una possibile condanna che metterebbe agli atti la mistificazione come strumento politico.
Al Guardian il professore di legge di Harvard Laurence Tribe ha dichiarato di «non aver mai visto una causa per diffamazione con una tale mole di evidenza che punta alla fabbricazione di falsa informazione allo scopo di incrementare gli ascolti ed i proventi pubblicitari». In questo Fox sarebbe stata motivata anche da una perdita di audience verso i concorrenti sul «fianco destro», emittenti più radicali come Oann e Newsmax. La promozione della narrativa trumpista aveva lo scopo di non alienare i sostenitori dell’ex presidente che costituivano la maggior parte dei telespettatori. In un altro testo dell’epoca, la direttrice per operazioni media Fox, Suzanne Scott, scriveva a Murdoch: «dobbiamo stare attenti a non fare incazzare gli ascoltatori» e proteggere gli introiti pubblicitari.

NELL’ATTUALE PANORAMA i rapporti fra Murdoch, Fox e Trump sono molto deteriorati e l’emittente potrebbe passare a sostenere nuovi pretendenti al trono Maga, come il governatore della Florida DeSantis. Intanto però potrebbe essere tenuta a pagare il conto per le sistematiche falsità che ha contribuito a diffondere, che hanno caratterizzato – e continueranno ad avvelenare – il discorso politico di era populista.

Nell’immagine: l’anchorman della Fox News Lou Dobbs, tra coloro che hanno diffuso informazioni che sapevano essere false






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